by Francesca Biancacci
Africa. Solo posti in piedi nella lussuosa Lounge Business dell’Aeroporto Bole di Addis Abeba. E’ una scena che si ripete ormai quotidianamente da quando il Covid ha allentato la presa.
L’intero aeroporto, costruito e gestito dalla Ethiopian Airlines, appena rinnovato e inaugurato solo 3 anni fa, con una capacità di 19 milioni di passeggeri all’anno, non basta più. Troppo piccolo per l’espansione senza sosta della compagnia di bandiera etiope. Un’espansione che né il Covid, né l’appena concluso sanguinario conflitto interno con il Tigray sono riusciti a fermare.
E così prima di Natale partiranno i lavori di un nuovo aeroporto, capace di gestire 100 milioni di passeggeri l’anno. Costo stimato 5 miliardi di dollari. Cifre da Guinnes dei primati.
La sfilza di record quando si parla di Ethiopian Airlines é lunga. 126 aerei per 137 destinazioni. Ha chiuso al 30 giugno scorso con un profitto netto di 937 milioni di dollari.
E sarà suo il primo Airbus A350-1000 di tutto il Continente Africano. Un aeromobile a basso consumo e altamente tecnologico, ha spiegato orgoglioso il ceo della Compagnia, Tewolde Gebremariam.
Alta Tecnologia. Sempre e comunque. E’ questa una delle chiavi principali per leggere questa storia di successo.
Fu fondata nel 1946, a un anno scarso dalla fine della seconda Guerra Mondiale, con l’aiuto e i capitali della storica compagnia Americana TWA. Chi mai avrebbe immaginato che a sopravvivere tra le due, decenni dopo, sarebbe stata proprio la Cenerentola africana?
Analfabetismo al 96%, due sole scuole secondarie: questa l’Etiopia di allora. Fondamentale l’imprinting tecnologico dei partner statunitensi. Un imprinting che gli etiopi hanno saputo sfruttare al massimo. La parola d’ordine sin da subito é stata: ‘Etiopianizzare” .
Il personale, dirigente e non, doveva diventare, con un piano ventennale, solo esclusivamente etiope. E così é dal 1971. Tecnologia dunque, sempre all’avanguardia. Scelta oculata degli aerei, centralità data alla manutenzione (Addis Abeba é presto diventata l’Hub di manutenzione per tutte le compagnie africane). Orgoglio Nazionale che si e’ tradotto nella creazione di scuole di addestramento del personale di volo , anche queste diventate punto di riferimento per l’intero continente..
Non ultimo, l’orgoglio Aziendale. E’ stato questo, fondamentale a salvare EAL dal probabile fallimento nel difficile periodo dell’ascesa al potere del Derg, il Governo Militare Socialista. Siamo negli anni ‘80.
L’amministratore viene presto sostituito con un Generale, senza arte né parte, pesanti interferenze sindacali, il divieto di acquistare aeromobili statunitensi. Ammessi solo aerei russi. In un battito d’ali Ethiopian Airline si ritrova ad un passo dalla bancarotta.
Ma lo spirito aziendalista, il senso di appartenenza di uno staff abituato al successo, emerge con tutta la sua forza. Ritorno alla politica industriale o dimissioni collettive. E’ così che i dipendenti tutti minacciano il Governo. E Il Derg, consapevole del contribuito della Compagnia al PIL della Nazione, acconsente.
E’ una storia di aiuti allo Stato anziché di aiuti dallo Stato, quelli su cui si é seduta ed é poi fallita la nostra Alitalia.
Il sogno nel cassetto? Entrare nell’industria aerospaziale a fianco di Boeing ed Airbus. Il progetto è già pronto.