Countdown di un anno di elezioni e di guerre. Il conto alla rovescia é iniziato con la sfida mortale per la democrazia americana fra il più anziano Presidente eletto alla Casa Bianca, Joe Biden, sovrastato dai tentativi d’assalto di Putin all’Ucraina, del terrorismo islamico ad Israele e della Cina all’economia mondiale, ed un ex Presidente di 78 anni, Donald Trump, definito in decine e decine di capi di imputazione dei quattro processi a suo carico come istigatore di un tentativo di colpo di stato, pericolo per la sicurezza nazionale, spergiuro, corruttore, truffatore e violentatore.

In attesa della decisiva valutazione della Corte suprema degli Stati Uniti sulla pur evidente e comprovata ineleggibilità di Trump, Washington fronteggia con decisione i due principali fronti bellici del Medio Oriente e dell’invasione dell’Ucraina che rappresentano le minacce più gravi per l’intero sistema delle democrazie occidentali.
Più che Gaza, preoccupa la tenuta della frontiera fra Israele e Libano mai come in questi giorni in bilico su un ennesimo conflitto. All’uccisione a Beirut da parte dei servizi israeliani di Saleh al-Arouri, numero due di Hamas, anello di collegamento con Hezbollah, Iran e Turchia ma soprattutto corresponsabile dei disumani massacri del 7 ottobre, ha fatto seguito la riproposizione della sequenza di vendette promesse e di lancio di missili contro Israele da parte degli Hezbollah filo iraniani.
A frenare i miliziani pronti a scatenare l’ attacco é per il momento paradossalmente Teheran, sconvolta dai circa cento morti delle esplosioni alla commemorazione di Qassem Soleimani, il generale considerato la mente degli attacchi terroristici iraniani nel mondo. Un attentato terroristico contro un defunto leader del terrore, anch’egli vittima quattro anni addietro di un attentato.
Un fiume di sangue e orrore che porterebbe la firma dell’Isis, il sedicente stato islamico che in nome della faida storica fra sciiti e salafiti considera debole e corrotto il regime degli Ayatollah. Una sorta di guerra incivile fra terroristi, dietro la quale si scorge l’incoraggiamento dell’intelligence occidentale. 
Resta da vedere se l’attacco missilistico contro Israele sia una risposta preliminare all’uccisione di Arouri o una delle ricorrenti toccate e fuga degli Hezbollah contro le forze di Israele che, dopo aver sradicato Hamas dalla striscia di Gaza, attendono soltanto l’occasione per disinnescare definitamente la minaccia rappresentata dalla temibile organizzazione armata libanese che ha costituito un vero e proprio esercito con un addestramento sofisticato e un arsenale di circa 150.000 missili.
Per sventare l’eventuale effetto domino mediorientale, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha avviato il quarto tour di crisi nella regione dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, tre mesi fa, con tappe a Istambul, Cisgiordania e Tel Aviv.

Dopo aver quasi raggiunto l’obiettivo di cancellare Hamas da Gaza, secondo Washington il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu rischia di compromettere i risultati dell’offensiva proponendo una serie di proposte politiche inaccettabili sulla governance futura della striscia, definita come inabitabile dalle Nazioni Unite.
Fra le varie proposte del governo Netanyahu la principale prevede che la ricostruzione di Gaza venga gestita da una task force multinazionale che comprende Stati Uniti, Europa e i paesi arabi moderati, il governo civile sarebbe demandato a un non meglio specificato organismo politico palestinese, mentre Israele ed Egitto congiuntamente si occuperebbero della sicurezza all’interno della Striscia. 
Il vero problema é che, non solo a livello internazionale ma anche all’interno del suo paese, l’attuale premier israeliano non appare più credibile e non garantisce il rispetto degli eventuali accordi.
Anche se non viene ufficialmente ammesso, per l’amministrazione americana la soluzione ideale dell’impasse del dopo Gaza sarebbe la sostituzione di Netanyahu col generale Benny Gantz, ex capo di stato maggiore dell’esercito e leader del partito progressista moderato israeliano. Ma é una soluzione che, in un groviglio cruciale di emergenze e di dolore deve passare attraverso il complesso sistema politico parlamentare ed elettorale di Israele.
Sul fronte della guerra scatenata dalla Russia di Putin contro l’Ucraina, secondo il quotidiano britannico The Guardian per il Governo inglese le perdite dell’armata russa stanno toccando la spaventosa cifra di 500 mila caduti, perché i soldati vengono mandati allo sbaraglio per conseguire minimi avanzamenti fra le trincee da sbandierare come successi nella campagna elettorale per le presidenziali di marzo.
La stampa americana invece sottolinea le difficoltà crescenti di approvvigionamento di armamenti per Kiev. Secondo il New York Times, presto gli Stati Uniti potrebbero non essere più in grado di mantenere la fornitura dei sistemi di difesa aerea Patriot essenziali per contrastare i massicci bombardamenti missilistici e aerei russi. Solo nell’ultimo mese sono stati infatti abbattuti tre modernissimi Mig di Mosca.
