Mancano ancora molti elementi per delineare compiutamente tutti gli sviluppi processuali, politici, disciplinari e mediatici di quel vaso di Pandora che, per la Magistratura, si sta rivelando il Palamaragate.
Retroscena che in realtà rappresentano soltanto l’ultimo è più dirompente degli sconvolgimenti che ciclicamente investono i rapporti fra magistratura, politica e giornalismo.
Intrecci strettamente connessi e ricollegabili alle funzioni e ai poteri diretti e indiretti attribuiti dalla Costituzione e dalla prassi costituzionale alle istituzioni, ai partiti e alla stampa.
Così come lo erano state anche nel tutt’altro che glorioso avvio dell’unità d’Italia, magistratura e amministrazione della giustizia, dopo la dittatura fascista, hanno ripreso loro malgrado il ruolo di stanze di compensazione di tutte le profonde tensioni politiche, sindacali e governative che, fin dal referendum tra Monarchia e Repubblica, scuotono e spesso sconvolgono tragicamente il Paese.
Stanze di compensazione di un potere, quello giudiziario, fra i gli altri poteri dello Stato. Potere giudiziario costituzionalmente delegato tuttavia all’autogoverno.
Specificità organizzativa e selettiva che implica, per la nomina dei vertici degli uffici giudiziari, il confronto fra opinioni e proposte alternative.
Confronto analogo all’elaborazione ideale e programmatica dei partiti politici, il cui ruolo e la cui funzione sono inscritti come per la Magistratura nella Costituzione.
Pur ingiustificabile e inammissibile, la degenerazione individuale, con annessa esasperazione mediatica, del cosiddetto caso Palamara non consente in ogni caso di criminalizzare, generalizzando, le scelte delle nomine dei vertici giudiziari da parte del CSM.
Anche in considerazione della naturale formazione di opinioni diverse all’interno e all’esterno della magistratura in merito a problematiche giurisdizionali ed esistenziali quali, per fare gli esempi più recenti, l’aborto, l’eutanasia, la procreazione assistita. Oppure di scelte normative che modificano gli assetti dell’intero settore giudiziario come per la prescrizione o per l’altalena dei limiti dell’età pensionabile dei magistrati: inizialmente fissata a 70 anni, poi elevata a 72, innalzata a 75 e da ultimo riportata a 70 anni.
Esattamente come avviene negli Ordini Professionali, dai Giornalisti, ai Medici, agli Avvocati, all’interno dei quali si sviluppano leadership e tendenze, l’ Associazione Nazionale Magistrati evidenzia correnti e schieramenti. Correnti che legittimamente contribuiscono e concorrono all’organizzazione dell’autogoverno della magistratura e confrontano le rispettive candidature, suffragate in ogni caso da titoli ineludibili, per i vertici dei distretti giudiziari e dei Tribunali. E per prendere una decisione è indispensabile parlarne. Analogamente a tutte le nomine.
Come se l’elezione del Papa o delle alte cariche dello Stato o le nomine Rai e nelle aziende pubbliche avvenissero tutte per intercessione dello Spirito Santo e non fossero il frutto di confronti e di proposte alternative, anche aspre e controverse, fra scuole di pensiero e aspettative diverse, fra partiti contrapposti, movimenti d’opinione, correnti varie.
Ovviamente distinguendo e sanzionando le distorsioni e separando nettamente, quanto più è costituzionalmente possibile, magistrati e politica.
Il punto d’arrivo ideale è riassumibile dalla considerazione del filosofo liberale Kal Popper secondo la quale “una nazione é democratica quando è capace di privare del potere i suoi governanti incapaci”
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