PAGINE
Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
L’aggettivo conservatore ha accompagnato in queste settimane successive alla sua morte, quasi su tutti i titoli, il nome di Papa Ratzinger. Qualcuno lo usa come complimento, la maggioranza come denigrazione. In ogni caso, se ne dà per scontato il significato.

La questione sarebbe già complessa se si parlasse dal punto di vista ‘politico’ dove non tutto merita di essere ‘conservato’, ma neppure di essere ‘riformato’. Il saggio conservatore conserva solo ciò che va preservato, il saggio riformatore dà una nuova forma solo a ciò che è ormai deformato: scaduto, obsoleto, di peso.
Se poi ci spostiamo dal campo della politica al campo della religione la questione si fa ancora più delicata e, francamente, mi pare che nei commenti prevalenti sia stata affrontata a colpi di accetta, senza nessuna attenzione chirurgica.
Benedetto XVI è stato un Papa conservatore? Se il riferimento è al Concilio ecumenico Vaticano II (1962 – 1965) certamente. Come il predecessore Giovanni Paolo II, di cui è stato il più stretto collaboratore teologico per decenni, egli ha ritenuto che – nonostante i cambiamenti positivi decisi durante l’ultimo Concilio ecumenico – tutto sommato il bilancio sia stato negativo. Infatti i due pontefici hanno ritenuto che quel Concilio dovesse riguardare solo l’aspetto “pastorale” della Chiesa (cioè il suo modo di porsi, di comunicare, di insegnare) e non i contenuti “dottrinali”. Che, dunque, i vescovi e i teologi che l’hanno interpretato non come mero lifting, bensì come rivoluzione culturale, sono stati – in buona fede o meno – dei traditori (da inquisire e condannare con tutti i mezzi possibili in un’epoca in cui, almeno in Occidente, non è più possibile accendere roghi).

Ma andare indietro dal Vaticano II al Vaticano I (Concilio svoltosi a Roma dal 1868 al 1870) significa accettare le tesi di un Concilio che non fu per nulla “conservatore” rispetto al Concilio precedente (svoltosi a Trento dal 1545 al 1563). Limitiamoci a un solo esempio: qualche mese dopo la sospensione “provvisoria” del Concilio, il Papa che lo aveva gestito ha proclamato in una Costituzione il dogma dell’infallibilità papale. Si trattava di una tesi talmente innovativa, inedita, da proclamare uno scisma: da allora infatti sono nate, per protesta, le Chiese vetero-cattoliche, cioè “conservatrici” rispetto alla novità rivoluzionaria del dogma riguardante il carisma papale.

D’altronde sappiamo dagli storici della Chiesa cattolica che Pio IX, non avendo sufficienti basi nella Scrittura, cercò la legittimazione della Tradizione. Infatti già dal V secolo vigeva il principio, formulato da San Vincenzo di Lerino, che va accettata come vera una tesi (anche se non presente nella Bibbia) che «tutti gli uomini abbiano creduto in ogni tempo e ovunque». Il Papa inviò dunque a tutti i vescovi del mondo un questionario per sapere se nelle loro diocesi fosse stata ritenuta sempre vera la dottrina dell’infallibilità papale, ma la stragrande maggioranza delle risposte furono negative. Gli si attribuisce allora la frase, eco di un’espressione di Luigi XIV re di Francia, «Io sono la Tradizione! »: autentica o meno che sia, comunque Pio IX si comportò di conseguenza emanando lo stesso il dogma tanto opinabile.
Dobbiamo allora concludere che i vetero-cattolici, fedeli a Trento (XVI secolo) ma ribelli al Vaticano I (XIX secolo) siano i ‘veri’ conservatori’ cristiani?
