Sul transatlantico della Camera che si appresta ad affrontare il mare aperto dell’elezione del 13° Presidente della Repubblica, secondo il cosiddetto “sentiment” degli ambienti parlamentari la bussola del totalizzatore virtuale dei voti in progress dei vari candidati, assegna a Mario Draghi una potenziale pole position con circa 480 ipotetici voti iniziali sulla carta provenienti da centro sinistra, dai renziani e dall’avvio della scomposizione dei gruppi di 5 Stelle, Lega, Forza Italia e del gruppo misto.

Sull’altro fronte, oltre al blocco compatto di Fratelli d’Italia, i restanti voti leghisti, azzurri e pentastellati e del misto si attesterebbero, sempre sulla carta, complessivamente a quota 380. Gli indecisi sarebbero 149. La grande differenza è inoltre connotata dalla tendenza: i voti per il Premier sarebbero cioè in crescita.

Di fatto ratificato dalla ritirata al rallenty di Berlusconi, per il centrodestra l’analogo prospetto di indicazioni di voto rischia di gelare ulteriori candidature e anzi di rafforzare la convergenza su Draghi.
Nelle lunghe notti pre Quirinal-day, la domanda che più rimbalza fra Palazzo Chigi, Camera, Senato, Nazareno e i quartier generali di Lega, 5 Stelle e delle altre forze politiche, è: che succede se i sentiment della vigilia verranno confermati dall’esito dei primi scrutini ?
Dipende dal mosaico della politica che sta attraversando una fase di scomposizione e riaggregazione. La frammentazione dei partiti, le ambizioni o l’impotenza dei leader, la drammatica prospettiva della pandemia, della crisi economica e sociale e la crescente “pressione” dei mercati, stanno determinando l’urgenza di una scelta ampiamente condivisa e con una primaria caratura internazionale. In sostanza è l’identikit di Mario Draghi, che dal Quirinale ancorerebbe l’Italia, pur con tutte le enormi contraddizioni del suo sistema politico, a primi posti dell’Europa e del contesto mondiale. E garantirebbe all’opinione pubblica nazionale l’essenzialità del ruolo dei partiti.
Del resto, lasciare Draghi alla guida del Governo e imbrigliarlo come garante operativo della gestione del piano di aiuti europei, non eviterebbe ai partiti di fare i conti con la consequenziale discesa in campo del Premier.
In prima persona o attraverso un rassemblement che si riconosca nella sua azione di Governo. Un movimento di opinione al quale, pur senza alcuna considerazione e accondiscendenza da parte di Draghi, sempre più frequentemente fanno riferimento gli ambienti parlamentari e gli esponenti di vari partiti in mezzo al guado del Colle.
E allora, si chiede più di un leader, perché rischiare l’eclissi e non cavalcare l’onda del Draghi for seven ? Che secondo i maliziosi scongiurerebbe oltretutto l’alternativa del Draghi forever…
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Fondatore e Direttore di zerozeronews.it
Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Rai Palermo e Tg1