by Gianfranco D’Anna
Più referendum che anni di Repubblica. Dal 1946 ad oggi in Italia si sono svolti 83 referendum nazionali, di cui 77 abrogativi, uno istituzionale, uno di indirizzo e quattro referendum costituzionali.
Ma fra i tanti scenari, mai come questa volta il deserto del voto referendario ha evidenziato il profondo malessere della democrazia parlamentare.
I dati dell’affluenza alle urne, attestatisi attorno al trenta per cento, molto lontani dal quorum necessario del 50% più uno di elettori, ripropongono l’analisi secondo la quale “se i cittadini sono passivi la democrazia si ammala”, anticipata un secolo e mezzo addietro da Alexis de Tocqueville.
Cinquantuno anni fa, esattamente il 12 e il 13 maggio 1974, il primo referendum abrogativo, riguardante la legge sul divorzio, registrò un’affluenza dell’87,72%. Da allora il quorum é stato raggiunto in 39 occasioni, mentre per altre 28 consultazioni referendarie non è stata superata la soglia.
La storia dell’istituto referendario, che ha una specifica natura di democrazia diretta, ha rappresentato il barometro della partecipazione popolare alle consultazioni elettorali, politiche e amministrative.
Una partecipazione al voto che dal 1948 al 1976 ha registrato l’affluenza degli elettori alle urne oscillante fra l’86 e il 92%, ma che diminuisce sempre più a partire dal 1979.
Le analisi politologiche hanno identificato le cause dell’astensionismo innanzitutto nell’evaporazione delle ideologie politiche e nel progressivo sfaldamento dei partiti e delle loro capillari organizzazioni in grado di motivare e mobilitare i cittadini, facendo leva sul senso di identificazione ideologica ed i programmi delle forze politiche di riferimento.
Appartenenza e mobilitazione che si traducevano in un’alta partecipazione al voto, che non si verifica da oltre 20 anni. Anzi, dal 2001 al 2022 l’astensionismo é raddoppiato, passando dal 18,80% al 36,09 delle ultime politiche. E che alle europee del 2024 ha sfiorato il 50%.
Una mancanza di quorum largamente previsto quello dei cinque referendum dell’8 e 9 giugno, che viene ora alternativamente interpretato dalla maggioranza di governo e dall’opposizione.

“I segnali che vengono dai cittadini nella catastrofe dei risultati referendari sono molteplici” afferma il Vice Presidente della Camera ed esponente di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli, secondo il quale gli elettori mandano a dire che :” il Governo Meloni non si tocca, lasciatelo lavorare in pace; il mercato del lavoro sta funzionando visto il record positivo di occupati e negativo di disoccupati, con tanto di decimazione del precariato in Italia le 200mila naturalizzazioni di cittadini stranieri ogni anno dimostrano che la legge in vigore sulla cittadinanza funziona e semmai occorre accentuarne la scelta consapevole piuttosto che agevolarne il possesso per convenienza e non per convinzione”.

Per il leader di Azione, Carlo Calenda: “il referendum é ormai uno strumento di cui si è troppo abusato. Abbiamo per tempo avvertito i promotori della possibilità di non raggiungere il quorum. Non ci hanno ascoltato perché quello che li interessava veramente non era vincere, ma avere un’affluenza da poter rivendicare politicamente. Insomma un clamoroso autogol, per riformisti serve area liberale”.

Analisi condivisa dall’altro leader centrista, Matteo Renzi di Italia Viva : “I quesiti sul lavoro erano ideologici e rivolti al passato. Spero che sia chiaro che per costruire un centrosinistra vincente bisogna parlare di futuro, non di passato”.
Concetto specificato dalla Vice Presidente della regione Toscana ed esponente di Iv Stefania Saccadi: “Fare dei referendum sulle battaglie sul passato invece che guardare, oggi, ai bisogni delle aziende e dei lavoratori per il futuro é stato un errore. Lo dico da persona che è andata a votare”.

E per restare ai conti aperti col passato, Saccardi si toglie un sassolino dalla scarpa ed aggiunge: “Vorrei ricordare, en passant, che se fosse passato il referendum costituzionale promosso da Renzi nel 2016 probabilmente questi referendum non ci sarebbero stati perché quella riforma poneva delle barriere più alte e, al tempo stesso, sarebbe stato molto più facile raggiungere il quorum”.
Dal Governo arrivano le bordate di Tommaso Foti, Ministro per gli Affari europei che dice: “Le hanno tentate e giocate tutte, perfino strumentalizzando le tragiche vicende di Gaza, pur di portare a casa i referendum. Ma gli italiani non si sono fatti ingannare: più dei due terzi hanno disertato le urne”.

Sul lavoro si regista la fulminea presa di posizione del Vice Premier e Ministro degli Esteri, Antonio Tajani:” sconfitta cocente della Cgil, che ha spaccato l’unità sindacale, perché l’onere di portare la gente a votare spetta a chi ha promosso il referendum “.

“Ha ragione chi ha detto che il campo largo, semmai fosse nato, oggi è definitivamente morto” ha affermato il Presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha aggiunto: “hanno tentato di trasformare questo referendum in una vicenda interna di partito. Anziché fare un congresso, hanno pensato di far spendere milioni allo Stato per vedere se aveva ragione la Schlein oi suoi oppositori. Hanno perso gli uni e gli altri, inutile infierire, ma spero che gli serva per il futuro”.
“Tutt’altro”, replica il segretario generale della Cgil Maurizio Landini che afferma: “è l’inizio, di una lotta ed una mobilitazione continui. Il risultato dei referendum é comunque un investimento, un inizio di un lavoro che non può terminare.”
