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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
E’ giusto che le vittime di mafia illustri – con espressione poco gradevole: le vittime eccellenti – siano ricordati con ammirazione e gratitudine da chi crede nei principi della democrazia costituzionale.
Ma a patto che si non corra il rischio di dimenticare quegli altri caduti, molto meno noti, che si sono opposti al dominio mafioso a mani nude, senza quel minimo di protezione di cui fruiscono le figure istituzionali in prima linea.
Tra questi “eroi borghesi”, sconosciuti alle cronache in vita e purtroppo quasi sempre in morte, Vincenzo Ceruso – attento saggista palermitano – ha ripescato la vicenda di un imprenditore assassinato il 30 agosto del 1982 (pochi giorni prima del General Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro) per evitare che il suo ‘cattivo’ esempio di resistente alle richieste di pizzo diventasse pericolosamente contagioso.
Esce così Come mafia non comanda. Inchiesta sulla morte di Vincenzo Spinelli, un martire civile (Di Girolamo, Trapani 2022, pp. 107, euro 14,00), libro appassionato e appassionante in cui si ricostruiscono le tappe di una storia straordinariamente ordinaria: un commerciante subisce una rapina, riconosce e denunzia uno dei ladri, non si piega alle intimidazioni e lo fa condannare in tribunale.
Tre anni dopo viene assassinato. Le autorità giudiziarie tendono ad escludere un nesso fra il processo e l’assassinio, ma la moglie e le due figlie non si arrendono.
Dopo molti tentativi riescono a convincere il Procuratore aggiunto di Palermo Guido Lo Forte a riaprire le indagini e ad affidarle a Michele Prestipino e a Ignazio De Francisci, allora giovani e valenti sostituti Procuratori con una già collaudata esperienza antimafia.
La collaborazione di due ‘pentiti’ (Francesco Onorato e Franco Di Carlo) risulta decisiva: se non sul piano strettamente giudiziario (a essere condannato, alla fine, è il solo Onorato, in quanto esecutore materiale del delitto), almeno dal punto di vista della verità storica.
I mafiosi e i loro amici avevano tentato, infatti, di diffamare la vittima spacciandola per un soggetto equivoco, compromesso. Ma le carte processuali documentano, senza ombra di dubbio, il contrario: Vincenzo Spinelli è morto perché ha voluto difendere a ogni costo la propria dignità di imprenditore, di cittadino e di persona umana.
Come dichiarano nella Postfazione Tiziana e Valeria Spinelli, “non è stato facile sopravvivere a tanto dolore, ma abbiamo imparato che non bisogna smettere di lottare per i propri ideali e non si deve permettere a nessuno di sopraffarti, anche quando ti ritrovi negli abissi più profondi della tua esistenza. Questo è ciò che ci ha permesso di rinascere: Questo è ciò che ci ha insegnato nostro padre, il nostro eroe e martire. Questo è ciò che noi lasceremo ai nostri figli”.
Già: i mafiosi e loro complici hanno reso la Sicilia tristemente famigerata in quanto capitale della mafia.
Ma non hanno potuto evitare che, grazie ai siciliani migliori, essa divenisse – contestualmente e inseparabilmente – la capitale mondiale dell’antimafia.