La storia processa se stessa, dal Cile al Myanmar. Le Forze Armate difendono la libertà e la democrazia, non le soffocano. Un concetto che nel nostro Paese è ormai scontato, oltre che costituzionalmente esaltato anche dall’esempio delle Forze Armate nella lotta contro la mafia e dal ruolo fondamentale a sostegno della protezione civile durante le calamità e, attualmente, nella campagna di vaccinazione anticovid. Ma anche un concetto sedimentatosi soltanto negli ultimi decenni.
Non era mai accaduto infatti che i Ministri della Difesa e le forze armate di 12 paesi – tra i quali l’Italia – condannassero senza mezzi termini i massacri di civili per reprimere le proteste popolari contro una dittatura militare.
Non era successo neanche per l’invasione sovietica dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, per i colpi di stato in Grecia e in Cile e il massacro di Piazza Tienanmen.
Golpe e carri armati, militari e dittatura scandivano all’uniscono gli slogan che per generazioni hanno condannato l’intervento dei soldati per soffocare le democrazie.
Invece c’é un’ulteriore caratterizzazione democratica nello sdegno che sta scuotendo le coscienze in tutto il mondo libero per la strage quotidiana in Myanmar di centinaia di giovani e cittadini disarmati che coraggiosamente chiedono da settimane il ripristino del governo civile, deposto lo scorso 1 febbraio dall’esercito, che ha arrestato la leader e Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, e decine di politici.
Aung San Suu Kyi