“Il fatto non costituisce reato”. E’ una emblematica sentenza di assoluzione, destinata a rilanciare un labirinto di inchieste, il primo verdetto sul caso del passaggio di mano e della successiva diffusione dei verbali segreti dell’avvocato Piero Amara con le sue rivelazioni sull’esistenza della cosiddetta “Loggia massonica Ungheria”, un’associazione segreta che sarebbe stata in grado di pilotare nomine giudiziarie e nei più importanti incarichi pubblici.

Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Brescia, Federica Brugnara, ha infatti assolto il Sostituto Procuratore di Milano, Paolo Storari dall’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio, bocciando la richiesta di condanna a 6 mesi avanzata dalla pubblica accusa. “E’ la dimostrazione della buona fede di Storari”, sottolinea l’avvocato Paolo Della Sala, difensore del magistrato milanese. Il legale auspica che questo verdetto “ponga fine al calvario a cui Storari è stato sottoposto per aver fatto il proprio dovere”.
Paolo Storari è il magistrato che a fine 2019 indagava sul finto complotto contro l’ad di Eni Claudio Descalzi che sarebbe stato architettato dallo stesso Amara per screditare – attraverso alcune denunce alle procure di Trani e Siracusa sulla presunta maxi corruzione di Eni e Shell in Nigeria. Fu l’avvocato Amara, in un interrogatorio del dicembre 2019, a parlargli per la prima volta della “Loggia Ungheria”, facendo anche i nomi dei presunti componenti dell’associazione massonica segreta. Una rivelazione esplosiva che, secondo il pm Storari, andava verificata con iscrizioni nel registro degli indagati. Ma le sue richieste di procedere tempestivamente con indagini mirate sarebbero state ignorate dai vertici della Procura di Milano.

Così Storari, come forma di “autotutela” di fronte al presunto “immobilismo” dei suoi diretti superiori, nell’aprile 2020 decise di consegnare brevi manu tutti i verbali di interrogatorio di Amara all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, ma senza alcuna lettera formale di accompagnamento. Un passaggio di mano di verbali di interrogatorio coperti da segreto che ha messo in forti difficoltà non soltanto Storari e Davigo (prima indagati e poi finiti sotto processo a Brescia, procura competente nelle indagini che coinvolgono “toghe” in servizio a Milano) ma anche i vertici della procura di Milano.
