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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Come mai dopo un silenzio assordante quasi quanto il rombo delle armi, il Patriarca di Mosca Kirill, ha improvvisamente rovesciato una serie di allucinanti dichiarazioni a favore dell’intervento russo, definendolo “una crociata contro le lobby gay occidentali”?
Uno scomposto anatema antioccidentale che non risolve gli interrogativi sul perché sostanzialmente tacciano le confessioni religiose più diffuse in Russia e in Ucraina.

Per misurare la gravità di questo silenzio bisogna ricordare – soprattutto al lettore che non ha molta dimestichezza con le questioni teologiche – che nei due Stati in guerra la maggior parte dei fedeli si dichiara (almeno ufficialmente) non solo cristiana, ma ‘ortodossa’. Ciò significa che i cristiani di varie chiese (cattolici di rito latino, cattolici di rito greco, anglicani, protestanti di varie denominazioni…) costituiscono una minoranza rispetto alla chiesa ortodossa russa e alla chiesa ortodossa ucraina: dunque non solo non abbiamo due appartenenze religiose (come ebrei e musulmani in Medio-oriente); non solo non abbiamo due versioni della stessa confessione cristiana (come cattolici e protestanti in Irlanda); ma abbiamo due chiese cristiane della medesima tradizione (l’ortodossia ‘orientale’ staccatasi dalla chiesa cattolica romana nel 1054).
Come mai il patriarca di Mosca Kirill e il patriarca di Kiev Epifani (entrambi a capo di chiese autocefale, cioè indipendenti e autonome, come tutte le chiese ortodosse che si sono staccate quasi mille anni fa da Roma per non riconoscere una figura di capo supremo dei vescovi, come appunto il papa cattolico) non hanno elevato nessun grido di dolore per il precipitare degli eventi e la tragedia della guerra, limitandosi a pochissimi, generici, sommessi, ambigui inviti alla pacificazione?
Che Papa Francesco – massimo esponente di quella chiesa ‘latina’ e ‘occidentale’ considerata ‘eretica’ dalle chiese ‘ortodosse’ – non abbia molti margini di manovra in questo conflitto, lo si comprende: ma perché il patriottismo (o forse il tatticismo diplomatico) hanno omologato, schiacciato, sulle posizioni politiche dei rispettivi governi le voci dei due massimi esponenti del cristianesimo ‘ortodosso’ in quell’area del pianeta?

Non ho le competenze per rispondere e sono in cerca di elementi per farlo. Alcuni dati generici sono abbastanza intuibili: la secolarizzazione planetaria ha ridotto ai minimi termini l’incidenza della religione nelle vicende storiche e chi la rappresenta vuole evitare un’ulteriore perdita di prestigio alzando la voce nel timore di non essere ascoltati (questo dato potrebbe ritenersi positivo anche se sfavorevole nella contingenza attuale); la religione cristiana (anche e soprattutto nella versione ‘ortodossa’ delle chiese orientali) si è da tempo auto isolata in una sfera liturgico-devozionale, amputando il messaggio evangelico originario di quella valenza ‘rivoluzionaria’ delle origini – invano evocata da grandi pensatori russi come Dostoevskij e Tolstoj – che comporterebbe un radicale rifiuto, nelle coscienze individuali come nelle politiche governative, di ogni logica egoistica, nazionalistica e imperialistica. La fede, quando sposa le istituzioni, le strategie e gli obiettivi della politica, è pericolosa: lo attestano i fondamentalismi di ogni epoca e colore. E il sostegno di questi giorni di Kirill alla campagna militare di Putin ne è una conferma tragica (anche se ridicola nei contenuti).
Ma quando rinunzia a essere coscienza critica della politica, a denunziarne errori e perversioni, è una fede inautentica che manifesta la sua irrilevanza per la vita concreta e quotidiana degli uomini e delle donne.
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Giornalista pubblicista, Filosofo. Fondatore della Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone di Palermo