C’è una terza via tra guerrafondai e putiniani?

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Oh oh cavallo di Putin e Xi Jinping a Samarcanda
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Rubrica di critica recensioni anticipazioniC’è una terza via tra guerrafondai e putiniani?

by Augusto Cavadi

Ci sono dilemmi tragici che solo gli stupidi sanno tranciare con un ‘sì’ o con un ‘no’ netti.

Se l’Ucraina debba opporsi con le armi all’invasione della Russia, o meno, è uno di questi dilemmi ? C’è una terza via tra guerrafondai e putiniani?

In circostanze simili diventa ancor più necessario del solito ascoltarsi, sforzarsi di intendere le ragioni dell’altro e, se si arriva alla conclusione di dissentire, dissentire da ciò che l’altro sostiene davvero (e non da ciò che noi supponiamo – per malafede o per ignoranza o per incomprensione –  che l’altro sostenga).

Nel marasma degli interrogativi che pullulano in proposito mi limito a focalizzarne uno solo: davvero l’alternativa è sostenere la difesa armata dell’Ucraina da parte dell’esercito regolare (e delle varie formazioni militari che, più o meno strettamente, lo fiancheggiano) oppure la resa incondizionata e la perdita della libertà attuale (per quanto relativa, condizionata)?

A giudicare da molti talk-show televisivi sembrerebbe così: o sei “guerrafondaio” (filo-statunitense”) o sei “putiniano” (di sinistra o di destra o rosso-bruno).

Invece tertium datur : una terza via che, lungi dall’essere un compromesso (“né…né”), è un volo pionieristico molto al di sopra delle due posizioni in contrasto.

C’è una terza via tra guerrafondai e putiniani?
Joe Biden e Vladimir Putin

Provo a formularla con le parole di Norberto Bobbio nella Prefazione alla prima edizione (1979) del suo libro – purtroppo ancora attualissimo – Il problema della guerra e le vie della pace (Il Mulino, Bologna 1984): “Certamente l’uomo non può rinunciare a combattere contro l’oppressione, a lottare per la libertà, per la giustizia, per l’indipendenza. Ma è possibile, e sarà anche producente e concludente, combattere con altri mezzi che non siano quelli tradizionali della violenza individuale e collettiva? Questo è il problema” (p. 27).C’è una terza via tra guerrafondai e putiniani?

Dunque: l’alternativa non è combattere o non combattere, ma combattere con armi (sempre più distruttive, sino alle bombe atomiche) o combattere con metodi e strumenti diversi dalle armi. Combattere con soldati addestrati alla guerra armata o combattere con soldati addestrati (per un numero non inferiore di anni e con un rigore non inferiore agli addestramenti militari) alla lotta senza armi. Se si capisce questo, poi – e solo poi – si ha diritto di elaborare tutte le obiezioni alle strategie nonviolente: che sono inefficaci, impraticabili, illusorie, contro-producenti, utopistiche, sinora mai sperimentate con successo nella storia dell’umanità etc. etc. (Obiezioni che, per essere convincenti, dovrebbero completarsi con la dimostrazione che, invece, le strategie belliche tradizionali si sono dimostrate, nei millenni, efficaci, produttive, realistiche…).

Insomma: si possono accusare i movimenti nonviolenti e pacifisti (le due qualificazioni sono contigue, ma non sovrapponibili) di tutti i difetti immaginabili, non di essere rinunciatari o vigliacchi. Lao Tzu, Buddha, Gesù (per quanto ne sappiamo di questi grandi maestri), Francesco d’Assisi, Thomas More, Franz Jagerstatter , Josef Mayr-Nusser, Gandhi, Badshah Khan, Martin Luther King, Nelson Mandela, Desmond Tutu, Jean Pezet, Danilo Dolci, Alex Langer…sono stati più – e non meno – coraggiosi di altri capi politici e militari. E anche più intelligenti se è vero, come sosteneva ancora Bobbio, che “ciò cui ci obbliga, oggi più che in qualsiasi altro momento della storia, l’intelligenza è capire che la violenza forse ha cessato definitivamente di essere l’ostetrica della storia e ne sta diventando sempre più il becchino” (p. 28).

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