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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Sul n. 563 ( 7 gennaio 2025) di “Società Libera online” ho letto, con consueto interesse e inconsueto disaccordo, l’articolo, a firma del Direttore Vincenzo Olita, Cultura Woke e Chiesa Anglicana, Futuro e Chiesa Cattolica. Ho replicato scrivendo quanto segue, ma non ho avuto alcun riscontro da parte di “Società libera” e quindi rispondo attraverso zerozeronews.
Nell’articolo di Olita vengono fedelmente rappresentate, sulla base di dati statistici, le attuali condizioni di crisi in cui versano le Chiese cristiane e, in particolare, l’Anglicana e la Cattolica: la prima “si avvia verso l’estinzione” (“Negli ultimi anni ancor più di 400 chiese hanno chiuso, in molte città esistono più moschee che chiese e i fedeli sono in netta diminuzione”); la seconda, la Chiesa di Roma, vive – “ all’infuori del clero sul continente africano” – un calo continuo di praticanti e di candidati al ministero presbiterale.
A quali cause bisogna risalire per spiegare questi sintomi di decadenza?

Olita non ha dubbi: la radice è “l’abbandono della tradizione cristiana in nome del politicamente corretto e dell’osanna per la cultura politica woke” (ad esempio la revisione dei testi liturgici e delle preghiere in generale in cui si trasmette una visione esclusivamente maschile di Dio) nonché l’abbandono di una concezione sacrale del cristianesimo a favore di un impegno sociale in “strutture di beneficenza o enti come Amnesty International”.
Tra le righe di questa diagnosi s’intravede la terapia suggerita dall’autore: invertire la direzione di marcia degli attuali vertici delle Chiese Anglicana e Cattolica, avviati “sullo stesso cammino fallimentare di larghi strati del protestantesimo” tedesco, e rilanciare quel “patrimonio dottrinale” che “sbiadisce, giorno dopo giorno”.

Le questioni da approfondire sono almeno due.
La prima concerne l’interpretazione della crisi attraversata dalle Chiese cristiane: essa è dovuta a un aggiornamento eccessivo del patrimonio dottrinario, liturgico, morale tradizionale o a un ritardo del medesimo aggiornamento? La gente non va più a messa o non si sposa più in chiesa perché il linguaggio dei preti e dei teologi è mutato troppo negli ultimi cento anni (risultando spiazzante) o perché è mutato troppo poco (risultando obsoleto, scarsamente comprensibile, inconciliabile con la cultura del cittadino medio)? Personalmente non ho dubbi: il mezzo secolo di studi teologici che coltivo intrecciandoli agli studi filosofici mi hanno convinto sempre di più che non possiamo mutare la nostra concezione dell’uomo, della storia, della natura, del cosmo in tutti i campi del sapere e restare fermi a duemila anni fa quando parliamo con Dio (trattandolo come Imperatore dispotico) o quando parliamo tra noi di Bibbia o di dialogo fra le grandi religioni del mondo.
Ma, per comodità espositiva, ammettiamo che la risposta per cui propendo (ovviamente non da solo, bensì preceduto da giganti del pensiero teologico come Panikkar, Kueng, Drewermann, Sartori, Barbaglio, Molari, Ortensio da Spinetoli…) sia errata.
Ammettiamo che una Chiesa ferma ai dogmi, ai precetti, ai divieti, alle formule di preghiera personale e comunitaria…di settanta o di ottanta anni fa (Olita evoca nostalgicamente addirittura la “essenza controriformista” di mezzo millennio fa!) fosse più appetibile, più seducente, più popolare di una Chiesa in autocritica, talora in vera e propria rifondazione, con che criterio dovremmo procedere? Dovremmo optare per una Chiesa in grado di raccogliere consensi o per una Chiesa che, spogliatasi di superfetazioni teologiche e istituzionali, prova a recuperare il vangelo originario, a sintonizzarsi con il progetto di Gesù e dei primi discepoli? Dovremmo, insomma, privilegiare la ricerca del successo o la fedeltà alla verità?
Anche su questa seconda questione non ho dubbi: se scopro che la mia Chiesa ha accumulato potere e denaro falsificando l’insegnamento dei profeti, del Maestro e dei suoi apostoli; seminando promesse illusorie e minacce infondate; imponendo in nome di Dio, sulle spalle della povera gente, dei pesi inventati da uomini…ho il dovere morale, prima ancora che il diritto intellettuale, di denunziare l’imbroglio secolare.
Anche a costo che le Chiese storiche, con miliardi di fedeli più confusi che persuasi, chiudano i battenti e lascino terreno a piccole Chiese costituite da uomini e donne in sincera, continua, ricerca di ciò che veramente ha proposto (insieme a tante cose inaccettabili o comunque datate) il filone del profetismo ebraico-cristiano.
Se il criterio é condivisibile, allora il compito della teologia libera e liberante sarà di risalire, per quanto possibile alle scienze bibliche ma con serietà scientifica e spirituale, al messaggio cristiano dei primi secoli: prima che l’infausta alleanza con l’imperatore Costantino trasformasse in ideologia sociologicamente conveniente una rivoluzionaria proposta di vita più sobria, fraterna, solidale, compassionevole.
Verso questo cristianesimo i privilegiati della Terra non potranno nutrire simpatia e, legittimamente, appoggeranno altre versioni ‘sacrali’, ottime come “oppio dei popoli”.
Ma perché stentano a riconoscerne la fondatezza storica e la valenza salvifica anche persone impegnate con dedizione nella costruzione di una “società libera”?
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