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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Cucurummà (Aporema Edizioni, 2023), romanzo di esordio di Lucia Boldi, ha tre protagoniste in carne ed ossa (Leontina, la madre Teodolinda e la nonna Elena) ed una protagonista in pietra e vento: l’isola di Pantelleria, culla delle tre donne ma anche rifugio ristoratore della più giovane ogni volta che le vicende dell’esistenza la spingono a cercare un grembo dove trovare conforto e ri-motivazione.
Il titolo dell’opera – il nome di un cibo tipico dell’isola a metà strada fra la Sicilia e l’Africa – è una sorta di sineddoche: indica una parte per il tutto. Forse qualcosa di più: infatti la cucurummà non è soltanto un pezzo significativo del mosaico Pantelleria, ma, dal momento che nonna Elena la cucinava “ogni volta che c’era un brutto momento da superare, una pena da confortare e una decisione importante da prendere”, ne é una sorta di cifra, di simbolo, di metafora.
Ogni lettore, ovviamente, ipotizzerà una sua chiave interpretativa. A me, forse per deformazione professionale, é riuscito spontaneo individuare come centro propulsore del racconto una domanda filosofica (a cui l’autrice, da letterata, offre una risposta non astrattamente concettuale, ma concretamente narrativa): che senso ha la nostra vita mortale?
“Faticava a trovare un senso alla propria vita. Si sentiva un’ingrata. Sapeva di aver avuto abbastanza: un marito, due figli amorevoli e perfino un discreto benessere economico, ma lei desiderava di più. Forse un senso più profondo che andasse oltre la sicurezza materiale e la serenità degli affetti” (p. 95).
