Cuore & Batticuore
Rubrica settimanale di posta storie di vita e vicende vissute
by Maggie S. Lorelli
Quando credevamo di poter fare un passo avanti, anche grazie alla coraggiosa discesa nel campo del dibattito dei familiari delle vittime dei femminicidi, ecco che col negazionismo del patriarcato arretriamo di un gran balzo.
Eppure, l’ultimo dato Eures registra 99 femminicidi solo in Italia nel corrente anno. Se poi aggiungiamo le violenze sessuali, le molestie, la violenza psicologica nelle sue infinite varianti, lo stalking, il revenge porn e le altre forme di vessazione e violenza che avvengono in ambito prevalentemente affettivo e familiare nei confronti delle donne, si configura una silente strage.
Non può che essere un problema culturale, stando alle sentenze di condanna, in cui il movente primario dei femminicidi é sempre l’esercizio del predominio e dell’autoritarismo maschile su un genere considerato proprietà privata, un possesso oggettuale al pari di un orologio o di una macchina.
Il maschilismo uccide et impera, e in una certa misura é alimentato dalle stesse donne, che in alcuni atteggiamenti, pose o persino professioni, assecondano le smanie di supremazia del maschio. Ed il maschio prevale, e prevarica, laddove la donna abdica alla sua libertà e dignità individuale. Molto spesso è il tranello sessuale a reggere le fila del comando.
La seduzione erotica e i rapporti sessuali implicano prevaricazione e sottomissione. Non dimentichiamo di essere animali poco pensanti.
L’atto stesso dell’accoppiamento e le proiezioni culturali che ad esso si accompagnano (squisitamente individuali, eppure forgiati secondo secolari stereotipi culturali) generano dipendenza affettiva, non meno deleteria delle sostanze stupefacenti o dell’alcol.
Le dinamiche affettive e relazionali non sono regolamentate secondo codici di civiltà, ma lasciate agli istinti individuali, spesso incontrollati.
In tal senso non bisogna demonizzare il maschio, ma riconoscere e individuare in ognuno/a le tendenze disfunzionali che generano mostri relazionali.
Sosterrei a gran voce l’idea di un’educazione affettiva e relazionale, non già sessuale, che insegni il rispetto dell’altro e il valore della differenza in un’ottica di parità, se non fosse che saper amare è dote rara e non si impara.
Altro sono le psicosi che conducono alle violenze conclamate. È ancora un tabù sociale l’idea che molto spesso siano le psicosi ad armare le mani. È giusto condannare, ma sarebbe utile animare un dibattito culturale che induca le persone (moltitudini), o le coppie incapaci di gestire la loro affettività a farsi aiutare.
Non vedo altra via che il potenziamento dei centri antiviolenza e di sportelli sanitari in cui gli specialisti possano accogliere preventivamente le istanze non solo delle vittime, ma anche dei potenziali carnefici.
La non violenza sta alla base del patto sociale. La concordia, il dialogo, il negoziato, la pace si possono imparare.
Laddove non si può imparare l’amore, si promuova almeno la civiltà. Quanto a me, ho imparato a riconoscere gli orchi da lontano e a stare in guardia.
