Facile e perfino sospetto acclamare ora Mario Draghi. In pochi avevano avuto il coraggio di gridare, a novembre scorso, che l’Italia non poteva permettersi di accantonare l’esperienza, il prestigio e l’unanime credibilità a livello mondiale che il Presidente uscente della Bce era riuscito a catalizzare.
Cinque mesi dopo, mentre l’orizzonte dell’intero pianeta è sconvolto dalla immane tragedia umana ed insieme economica del covid-19, il macigno del già mostruoso debito pubblico pone il nostro Paese in una situazione insostenibile, in bilico sul baratro del default, della paralisi produttiva, della disoccupazione e dell’implosione sociale.
Il subliminale ritorno al futuro di Draghi, che ha efficacemente delineato al Financial Times la rotta per scongiurare il collasso dell’Europa e soprattutto il naufragio dell’Euro, ha fatto precipitare politici ed editorialisti sulla scialuppa di salvataggio di Mario Draghi.
Quello di Draghi tuttavia non sarebbe un ritorno sulla scena economica e istutizionale italiana, per il semplice motivo che in realtà non l’ha mai abbandonata e da discreto, ma apprezzatissimo civil servant ha continuato a dialogare con le autorità morali e super partes, oltre che istituzionali e costituzionali, del Paese.

Le condizioni per un’assunzione diretta della Premiership sono ben altre e riguardano in egual misura l’Europa e i delicati equilibri internazionali e le profonde alleanze che negli ultimi mesi l’Italia ha spesso spinto ai limiti della tenuta.
Non è un segreto come da Washington a Londra alla Nato alla conferenza di Bilderberg, della quale Mario Draghi è uno dei partecipanti di primo piano, non passino inosservate le scoordinate fughe in avanti di settore nevralgici del nostro Paese in direzione del 5G cinese e delle iniziative strategico economiche di Pechino e Mosca, anche in occasione dell’emergenza coronavirus.

Per quanto riguarda l’Europa, preoccupa soprattutto l’ultimo scenario che viene prefigurato da alcuni leader italiani. Scenario che pone l’accento retorico e propagandistico su un’Europa Atlantico-Mediterranea contrapposta ad una Europa continentale.
Secondo il retrogusto sovranista di queste teorizzazioni, che il marasma del coronavirus sospinge presso l’opinione pubblica, la faglia economica aperta dall’impatto dell’epidemia ripropone lo schema geo politico e culturale del sostrato della latinità, contrapposta al retaggio teutonico e slavo del nord est. Con in mezzo il mercantilismo senz’anima dei Paesi Bassi, che pure nell’inno nazionale continuano a giurare fedeltà al Re di Spagna…
Insomma Italia, Francia, Spagna e Portogallo contrapposte a Germania, Olanda ed ai paesi nordici. E allora, si chiedono i maître à penser del revanscismo antieuropeo, se non é possibile scongiurare il definitivo naufragio dell’Unione Europea perché non pensare ad una rifondazione di un’Europa ristretta, ma più solidale e coesa sulla base dello schema originario del trattato di Roma, che nel 1957 istituì la Comunità economica europea, dando vita ad un mercato comune fra i quattro paesi che si affacciano sul Mediterraneo e sull’Atlantico?
Una ipotesi irrealizzabile per almeno due motivi fondamentali: la moneta unica e l’inaffidabilità di Macron.
