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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonio Borgia
Una delle storie popolari siciliane maggiormente note e descritte dai cantastorie (al pari di quelle delle sette dei “Vendicosi” e dei “Beati Paoli”) riguarda la figura di Salvatore Giuliano, il più famoso bandito isolano, usato e poi abbandonato al suo destino dalla politica e dalla mafia.
I tanti film e libri che hanno tentato di approfondire il personaggio non sono riusciti a chiarire i misteri che ancora oggi persistono sulla vita e le gesta di Giuliano.
Nato a Montelepre in provincia di Palermo nel novembre 1922, figlio di emigrati negli Usa, ritornò nella terra di origine con la famiglia, dedicandosi alla borsanera nel periodo post-liberazione.
La sua latitanza con un gruppo di banditi (quasi tutti fatti da lui evadere, nella notte di capodanno 1944, dal carcere di Monreale), dedito in un primo tempo ai sequestri di persona, iniziò con l’omicidio dei carabinieri Antonio Mancino e Aristide Gualtiero negli ultimi mesi del 1943.
Nel suo libro «Una lunga trattativa», Giovanni Fasanella ha segnalato che “il sottotenente dei paracadutisti” Giuliano era già noto al controspionaggio alleato come un sabotatore del Battaglione San Marco della Decima Mas e che aveva oltrepassato la linea gotica, giungendo clandestinamente in Sicilia per organizzare la sua banda e compiere atti di sabotaggio.
Malgrado la continua caccia delle Forze dell’ordine, nel primo periodo della sua sanguinosa attività, Giuliano (come specificato nella relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia del 4 febbraio 1976) ebbe la protezione di cosa nostra, convinta di poterlo utilizzare per raggiungere gli obiettivi circa il mantenimento dell’equilibrio economico e sociale allora esistente nell’isola.
Addirittura, in latitanza, nel 1947, riuscì a incontrare giornalisti stranieri per farsi intervistare.