Cuore & Batticuore Rubrica settimanale di posta Storie di vita e vicende vissute
by Lucio Lanza
Amo Lampedusa e ci vado ogni volta che posso. E tra le tante cale che frequento ce n’è una che prediligo particolarmente. Il suo nome è Ciatu Persu e la leggenda racconta che il nome derivi dal fatto che ci vivevano un pescatore e la moglie. Questa donna era dotata evidentemente di una zucca particolarmente granitica, per cui, chi passasse nelle vicinanze sentiva spesso il marito lamentarsi “Parrari cu ttia è ciatu persu!”.
In questa caletta ho trovato un braccialetto di palline di legno sul bagnasciuga (si, lo so, è improprio, professori. Ma a me piace e rende l’idea).
Logoro, cotto dal sole e dalla salsedine, un manufatto molto povero, ma che gli agenti atmosferici hanno lavorato in maniera da dargli un suo fascino.
Spero non sia appartenuto ad uno dei tanti, troppi, Alì, che sono scivolati in fondo al mare.
Mi auguro invece che lo abbia perso un altro Alì, quello che ce l’ha fatta. Certo, il peggio doveva ancora arrivare, stipato su un furgone, malmenato e trattato come un capo di bestiame. Censito, verificato, ammassato. Parcheggiato un centro di accoglienza che contiene il triplo della capacità di ospiti come lui. Gli invasori, quelli da cui difendere il sacro suolo.
Alì non l’immaginava così questo nuovo mondo quando era partito alla sua volta. Ma tant’é, ormai è quì.
Cercherà qualche lavoro sottopagato, raccoglierà pomodori, lavorerà la terra. Spero non cada vittima degli spacciatori italiani che lo useranno come fattorino di morte.
Magari un giorno riuscirà ad integrarsi, ad avere un lavoro suo, una famiglia sua. Alcuni ci riescono…
In ogni caso, che tu sia Alì che non ce la fatta, o Alì che c’è riuscito, il braccialetto ce l’ho io. Non temere, ne avrò cura.
Infinitamente più prezioso di un gioiello, nella tragedia quotidiana degli immigrati che attraversano con qualunque imbarcazione il Mediterraneo, il braccialetto rinvenuto a Lampedusa simboleggia la vita e la morte di milioni di esseri umani. Un destino che si riflette come uno scatto nelle parole amare del fotografo e scrittore Lucio Lanza. Metafora di un genocidio alimentato dalla catastrofe umanitaria dell’Africa e dall’indifferenza suicida dell’Europa.