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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Quanto incide il linguaggio sulla convivenza civile? La salute di un sistema democratico si misura anche dall’uso corretto delle parole?
A questi interrogativi risponde Gianrico Carofiglio con un saggio, “La nuova manomissione delle parole” edito da Feltrinelli che rispolvera e rivisita aggiornandolo quello già pubblicato nel 2010 per i tipi di Rizzoli.
Il saggio prende spunto, soprattutto, dagli studi di Klemperer sulla lingua nel tempo del nazismo e dal romanzo di Orwel “1984”.
Klemperer evidenziò, attraverso una minuziosa analisi della lingua corrente durante la dittatura di Hitler, la forza omologatrice delle parole, come il loro uso, ripetuto sino all’ossessione a fini propagandistici e manipolato, possa plasmare le coscienze.
Nell’incubo fantastico di “1984” “la Neolingua” riduce il numero delle parole, espellendo quelle trasgressive al progetto del “Grande Fratello” e immiserendo la capacità comunicativa dei sudditi.
Carofiglio parte dalla premessa che esiste una lingua dei regimi totalitari, povera e artefatta, asservita alle finalità del regime: negare la libertà e assoggettare le coscienze a una volontà superiore che, in modo subdolo, annienta le individualità e coarta il pensiero. E s’interroga, con inquietante lucidità, sui pericoli per la democrazia del nostro Paese, derivanti da un linguaggio farcito di ambigui luoghi comuni e sempre più scarno, imposto dai mass media con tecniche insidiose.
L’autore sottolinea come certe parole siano state spogliate del loro reale significato e camuffate e avverte l’esigenza di ridare dignità a parole spesso oggi svuotate. La sua disanima parte da “vergogna”, continua con “giustizia”, “ribellione”, “bellezza”, culmina in “scelta”.
La “vergogna”, che ha la stessa radice (il latino “verecundia”) del suo opposto, “rispetto”, implica la percezione della violazione, per se stessi e per gli altri, di un principio etico. Ha in sé dunque un valore morale, che oggi gli è disconosciuta. Occorre recuperare il coraggio e l’onestà di provare “vergogna”.
La “giustizia”, oggi non solo tante volte denegata, ma anche vilipesa, esprime l’alta concezione del bene comune e l’importanza della legalità. Ad essa si accompagna, paradossalmente, la “ribellione”, che non evoca violenza ma la forza di contrastare iniquità e ingiustizie.
La “bellezza” ha una funzione vitale: quegli estetici ed etici sono valori che si integrano nell’antitesi all’orrore e alle brutture. La “scelta” è, infine, il punto di arrivo di una democrazia: consente di discernere le varie prospettive e di esprimere un giudizio maturo e libero.
Quali ricette contro l’uso improprio e manipolatore del linguaggio? La chiarezza e semplicità delle parole che, riconsegnate al loro autentico significato, arricchiscono una corretta comunicazione. Senza la quale la democrazia è claudicante.