La penalizzazione del dislivello culturale
by Augusto Cavadi
La situazione del Palazzo di Giustizia di Palermo – dove nell’Ufficio dei Gip, i Giudici per le indagini preliminari, e dei Gup , i Giudici per le udienze preliminari, si trovano in servizio solo tredici magistrati, contro i ventotto previsti dalla pianta organica, così che 200 richieste di rinvii a giudizio e 10 mila tra archiviazioni e decreti penali di condanna slitteranno di mesi – non è un’eccezione nel Meridione. Né si tratta di un’emergenza.
Da decenni gli uffici giudiziari siciliani denunziano analoghe carenze di organico. Superfluo aggiungere che una situazione del genere, grave in qualsiasi area del mondo, è addirittura disastrosa là dove organizzazioni criminali di radicata tradizione come le cosche mafiose approfittano per offrire mediazione dei conflitti dal punto di vista civilistico e punizione dei reati dal punto di vista pseudo penalistico, sulla base di un codice penale surreale per il quale innocenti per principio sono i mafiosi obbedienti, colpevoli tutti gli altri.
Uno degli aspetti più grotteschi della situazione è che restano vacanti dei posti di lavoro, prestigiosi e ben remunerati, proprio in regioni che soffrono il continuo esodo di giovani laureati verso altre regioni italiane e, soprattutto, verso altre nazioni. Circa un quarto di secolo fa, quando Piero Grasso era ancora a capo della Procura della Repubblica di Palermo, alla fine di una sua prolusione alla Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, gli chiesi la ragione di questo paradosso. La sua risposta fu raggelante proprio perché espressa con flemma e un amaro sorriso: “Lo chieda ai suoi colleghi che insegnano nelle scuole e nelle università. Ai concorsi per magistrati si presentano persino candidati che non scrivono correttamente in italiano: possiamo correre il rischio di leggere sentenze sgrammaticate che farebbero sbellicare dalle risa avvocati e imputati istruiti?”
Da allora la situazione dell’istruzione media e universitaria non risulta migliorata. Il circolo vizioso, in varie aree disciplinari, è rimasto intatto: si dà la laurea anche a persone che – secondo i canoni europei – non la meriterebbero; questi soggetti scelgono, come ripiego, di entrare nella scuola come docenti (né le commissioni selezionatrici li fermano, ora per corruzione ora per malintesa compassione); una volta in cattedra insegnano male e pretendono poco dai loro studenti, i quali arrivano ugualmente a laurearsi (specie oggi con università “a distanza” e “on line” di ogni genere e livello).
So che è una verità amara, ma bisogna che qualcuno ogni tanto la dica: le cause della disoccupazione giovanile nel Meridione italiano sono molteplici e spesso colpiscono giovani davvero preparati e meritevoli; ma in altri casi si tratta di giovani che, pur con pezzi di carta in tasca, non sono in grado di superare concorsi pubblici appena appena rigorosi. Non tutti i cervelli in fuga sono stati esercitati a dovere in casa propria.
Molti Paesi economicamente più avanzati del nostro hanno capito da tempo che un sistema dell’istruzione efficiente è il motore dello sviluppo autentico. Se le anticipazioni sui tagli in questo settore da parte del governo nazionale dovessero risultare fondate, sarebbe gravissimo. Ma dev’essere chiaro a tutti – insegnanti di ogni ordine e grado in primis – che le risorse economiche sono necessarie quanto insufficienti: hanno la funzione di sostenere e incoraggiare le risorse umane.
Se c’è lassismo buonista nelle scuole (aggravato dalla paura del calo di iscrizioni e dunque di cattedre) e corruzione sistemica nelle università (al punto che Giovanbattista Sciré e altri ricercatori, amareggiati per troppe ingiustizie, hanno fondato un Osservatorio Indipendente Concorsi Universitari) il serpente continuerà a mordersi la coda. E, per esempio, nei concorsi per magistrati avremo più posti disponibili che vincitori idonei a occuparli. Con comprensibile soddisfazione dei mafiosi, dei corrotti e degli imbroglioni.
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