Per l’Italia la pace apparente in Libia ha il retrogusto avvelenato del predominio turco. Oltre ad essersi assicurata la strategica base militare di Misurata, Ankara vuole mettere le mani sul petrolio e soprattutto sui flussi di profughi e immigrati, per condizionare anche dal fronte mediterraneo Roma e Bruxelles.

Dietro gli slogan pacifisti, ed il miraggio di elezioni politiche nel marzo del 2021, il cessate il fuoco annunciato dal governo di Fayez al-Serraj e dal Presidente del Parlamento di Tobruk, Agila Saleh, è esclusivamente funzionale alla spartizione militare ed economica fra Turchia, Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, delle risorse strategiche di una Libia inesistente come paese indipendente.

“Interessi per il momento prevalenti sulle faide della guerra civile” spiega l’analista di strategie geopolitiche e militari Michela Mercuri, docente di Storia Contemporanea dei Paesi mediterranei ed esperta di Libia.

Pace sostanziale o apparente?
Apparentemente questa pace potrebbe diventare sostanziale e duratura. Molto dipenderà dal ruolo degli attori esterni, in modo particolare della Turchia che sostiene al Serraj, dell’Egitto e degli emirati Arabi Uniti che finanziano e armano il generale Kalifa Haftar. Molto dipenderà da quanto vorranno impegnarsi per una stabilizzazione. Stabilizzazione che sicuramente conviene a tutti perchè è legata alla ripresa, o meglio alla promessa della ripresa della produzione del greggio da parte del generale Haftar. Petrolio che potrebbe fare da apri pista ad una pace condizionata dalla suddivisione delle royalty fra Cirenaica e Tripolitania. Potrebbe rappresentare l’inizio di un percorso di riconciliazione delle fazioni libiche.

L’Italia può tornare protagonista?
L’Italia potrà avere un ruolo piuttosto marginale soltanto se riuscirà a ritrovare una visione di politica estera, facendo perno sugli unici due capisaldi che ci restano in Libia: l’ambasciata a Tripoli e gli assist dell’Eni. Da molti mesi il nostro Paese ha abbandonato il dossier libico, lasciando campo libero alla Turchia, che ha inviato ad al Serraj soldati e armi per fronteggiare l’avanzata delle milizie del generale Haftar. Dunque Serraj ha un grande debito con la Turchia, tanto che ceduto ad Ankara la strategica base militare di Misurata che consente ai turchi di avere proiezione di forza non solo nel Mediterraneo orientale ma anche in tutto il nord Africa.
Ruolo degli USA?
Dietro le quinte gli Stati Uniti sono stati i protagonisti ed insieme la longa manus degli accordi di pace fra Saleh e al Serraj. Washington ha lasciato fare alla Turchia perché è un paese Nato che ospita basi militari strategiche per gli Usa ed ha sfruttato anche l’intesa con gli Emirati Arabi Uniti sfociata nel recente accordo con Israele per convincere Haftar a rientrare nei ranghi e ad accettare l’intesa .

Haftar è funzionale all’accordo o è stato scaricato?
Anche se non si è ancora pronunciato ufficialmente, Haftar rimane sul campo e mantiene importanti rapporti con l’Egitto e la Russia, ma in questo momento preferisce mandare avanti il presidente del Parlamento di Tobruk. L’unica incognita riguarda la prosecuzione della contrapposizione fra Turchia e Emirati Arabi Uniti. Contrapposizione che potrebbe tornare a fare leva sul ruolo di Haftar.
Che faranno russi e turchi ed egiziani ?
Pur su fronti contrapposti tutti e tre hanno interesse ad avere una Libia quanto più pacificata possibile, per riprendere la produzione petrolifera, ampliare la presenza di basi e dei rispettivi contingenti militari e per quanto riguarda la Turchia, gestire i flussi migratori per ricattare l’Italia e l’Europa.