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Mosca nel vortice dei lanzichenecchi della Wagner

A Mosca il tempo incerto, col cielo parzialmente nuvoloso, riflette la cupa atmosfera che incombe sul Cremlino. “La situazione é surreale. Si avverte che dietro una quotidianità standard tutti fanno finta di niente, ma  si rendono conto che qualcosa potrebbe essersi rotto definitivamente” ha dichiarato al quotidiano inglese The Guardian un diplomatico occidentale.

Lo shock della marcia sulla capitale dei mercenari del gruppo Wagner ha lasciato il posto a dubbi e interrogativi che nessuno pone apertamente.

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Prigozhin e Putin

“Il Cremlino era sicuro che Prigozhin fosse sotto controllo e che ci fossero persone che lo gestivano”, ha detto Tatiana Stanovaya, analista della Carnegie Endowment for International Peace, un think tank internazionale apartitico specializzato in politica estera. “E invece – prosegue – “ora si scopre che era tutto un casino totale. Il che significa che inizi a farti delle domande tu stesso, su cosa è sotto controllo in questo Paese e cosa no”.

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Kelensky e Putin

Sui social, i meme continuano a fare impietosi paragoni tra Vladimir Putin e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che è rimasto a Kiev nonostante il grande pericolo di essere ucciso o catturato nelle prime ore dell’invasione russa dello scorso febbraio.

Putin invece durante il corto circuito con i lanzichenecchi della Wagner é apparso distaccato e sembra che sia temporaneamente fuggito a San Pietroburgo.

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Yevgeniy Prigozhin

Perché a Prigozhin, da tutti considerato un morto che cammina con i sicari di Putin alle calcagne, è stato consentito di  trasferirsi in Bielorussia? La risposta dell’intelligence americana e inglese é che il padre padrone della Wagner custodisca svariati kompromat, dossier con prove compromettenti sui vertici del Cremlino, a cominciare dal Presidente.

Il gruppo mercenario finanziato con miliardi di euro si è rivelato una sorta di P2 in salsa moscovita, un grumo di poteri e di intrighi nato da una costola del Gru, l’apparato operativo più segreto e sinistro dei servizi di intelligence della Federazione Russa, al quale erano affiliati numerosi generali. A cominciare da Sergei Surovikin uno dei comandati dell’armata d’invasione dell’Ucraina, che sarebbe sott’inchiesta.

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Sergey Surovikin

La rivolta di Prigozhin avrebbe rappresentato la longa manus dei vertici militari per “tastare” il polso a Putin. Il Washington Post rivela che il direttore della Cia William Burns ha compiuto un viaggio segreto a Kiev per conoscere la strategia del governo Ucraino per i prossimi mesi.

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William Burns

Lo scenario sarebbe quello di una riconquista del Donbass e dell’avanzata fino al confine della Crimea. A questo punto con la penisola in ostaggio, si potrebbero aprire le trattative per un cessate il fuoco con Mosca entro la fine dell’anno.

Ma Putin accetterà di ratificare la sconfitta di fatto? Secondo l’autorevole settimanale inglese The Economist, assieme al dopo Wagner, il Presidente russo sta fronteggiando tre grandi fattori negativi.

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Mark Milley

Il primo è la guerra. La controffensiva dell’Ucraina continua a fare progressi lenti ma costanti. La diagnosi del Generale Mark Milley, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, é che “gli attacchi delle forze ucraine sono ostacolati dalla mancanza di una adeguata potenza di fuoco. Per vedere risultati – dice il generale a quattro stelle americano – ci vorranno ancora dalle sei alle dieci settimane e saranno settimane molto, molto sanguinose”.

Il secondo problema di Putin é l’economia. L’anno scorso la Russia ha retto abbastanza bene, grazie ai prezzi del petrolio e del gas che sono saliti alle stelle. Dall’inizio dell’anno la situazione si è capovolta. Le entrate del gas sono crollate ed il prezzo del greggio é sceso. Il divario tra la spesa pubblica, impennatasi a causa degli enormi costi della guerra e le entrate si sta allargando, costringendo la Russia a svuotare il suo fondo sovrano, col rublo che ha perso quasi il 40% del suo valore nell’ultimo anno. Il che significa che il Cremlino non ha più risorse per sostenere la difesa e soprattutto per preparare una eventuale nuova offensiva.

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Putin e Erdogan

Il terzo fattore negativo è rappresentato dagli alleati. Oltre alla Cina, che fa il pieno di petrolio russo a poco più di un quarto del prezzo di mercato, ma non fornisce armi e supporto d’intelligence a Mosca, gli unici alleati sui quali Putin può contare sono lo scontato Alexander Lukashenko, il triplogiochista turco Recep Erdogan, il sanguinario despota Bashar al-Assad in Siria e gli ayatollah in Iran.

Esclusa Pechino, che gioca una partita a parte, il Presidente russo può solo contare su un poker di regimi assediati da crisi economiche e alle prese con gravi problemi di stabilità interna.

E’ il diagramma di una disperazione più o meno inconsapevole che allarma le capitali occidentali, che paventano un eventuale, sciagurato, colpo di mano nucleare tattico o nell’ambito della centrale di Zaporizhzhia da parte di  Putin, per paralizzare la controffensiva ucraina e scongiurare una sconfitta che farebbe crollare  il suo regime.

In ogni caso é evidente che protagonista di incubi, più che di sogni, già da tempo il futuro del Presidente russo non coincide con quello dell’umanità.Mosca nel vortice dei lanzichenecchi della Wagner

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Gianfranco D'Anna
Gianfranco D'Anna
Fondatore e Direttore di zerozeronews.it Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Tg1 e Rai Palermo al maxiprocesso a cosa nostra. Ha fatto parte delle redazioni di “Viaggio attorno all’uomo” di Sergio Zavoli ed “Il Fatto” di Enzo Biagi. Vincitore nel 2007 del Premio Saint Vincent di giornalismo per il programma “Pianeta Dimenticato” di Radio1.
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