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Amore peccato violenza e fede secondo una monaca benedettina

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Rubrica di critica recensioni anticipazioni

I cardini del pensiero Socrate Buddha Confucio Gesù

by Augusto Cavadi

Il corpo gioia di Dio. La materia come spazio di incontro tra divino e umano (Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano 2023) non é tra i libri più originali di Teresa Forcades, la monaca benedettina di origini catalane, medico e teologa femminista.

Nel primo capitolo, infatti, l’autrice espone considerazioni critiche ormai abbastanza note sull’antropologia tradizionale (platonica e cristiana) e sull’antropologia contemporanea che, almeno sotto alcuni aspetti, non costituisce il ribaltamento riabilitante che vorrebbe essere: infatti al corpo “seduttore”, “peccatore” e “punito” dell’etica ‘classica’ occidentale si sostituisce troppo spesso, nella cultura odierna, un corpo “oggetto di desiderio”, “discriminato” e “controllato”.Amore peccato violenza e fede secondo una monaca benedettina

Neanche il secondo capitolo – nel quale si tenta di recuperare gli aspetti positivi, apprezzabili, sia della tradizione cristiana (il corpo “pacificato”, “resuscitato” e “mistico”) che della prospettiva contemporanea (il corpo “liberato”, “integrato” ed “ecologico”) – mi pare aggiunga granché a quanto di solito si afferma sul tema.

Trovo invece più intrigante il terzo capitolo dedicato alla “peculiarità del corpo femminile”, soprattutto le pagine in cui – sulla base della letteratura neurofisiologica e ginecologica recente – la Forcades si sofferma sul legame originario di ogni essere con il corpo materno: “di fronte a un corpo di donna si attivano leve molto profonde della psiche umana che hanno a che vedere con l’esperienza materna e con l’ambivalenza che le è propria. La madre rimanda a un’unità senza crepe in cui non c’è posto per l’alterità; rimanda a un momento anteriore alla propria differenziazione soggettiva. Da qui l’ambivalenza, in quanto tale momento può essere percepito in maniera molto intensa come pienezza o piacevole riposo di cui si ha nostalgia e che si desidera sperimentare di nuovo, o come minaccia all’autonomia personale che si vuole evitare ad ogni costo. L’esperienza materna evocata dal corpo femminile è fondamento e riferimento della propria relazionalità costitutiva”.

Amore peccato violenza e fede secondo una monaca benedettina
Suor Teresa Forcades

Questo legame primigenio per alcuni versi (flusso sanguigno e ormoni materni) viene interrotto dal taglio del cordone ombelicale, ma per un fattore almeno “perdura nel corso di tutta l’infanzia e si prolunga nella vita adulta”.

Questo “qualcosa che accompagna la relazione madre-figlio in maniera permanente” è “la voce materna” che percepiamo non appena l’ovulo é stato fecondato, prima ancora della formazione del “primo rudimento dell’orecchio interno (la vescicola auditiva)”: affinché questo accompagnamento continuo durante tutto lo sviluppo intrauterino si produca “non è necessario che la madre parli ininterrottamente”: “il fatto stesso di pensare, di sognare o di leggere anche solo per sé fa vibrare le corde vocali in maniera sufficiente perché la vibrazione emessa arrivi allo spazio intrauterino”. Tra le molte conseguenze di questa simbiosi “precedente a ogni differenziazione soggettiva” ce n’è una che interessa quanti si occupano di violenza di genere. Infatti se il neonato si identificherà con “l’essere donna”, l’esperienza originaria del corpo materno lo indurrà a sentirsi responsabile del “benessere fisico ed emotivo di coloro che amiamo in un modo che avremo difficoltà a distinguere dalla nostra identità personale”; se invece si identificherà al maschile, si aspetterà che le donne amate si prendano cura del suo “benessere fisico ed emotivo in un modo che avremo difficoltà a distinguere dalla loro identità personale”.Amore peccato violenza e fede secondo una monaca benedettina

Nelle fasi di “crisi personale o sociale (per esempio in un contesto di guerra)”, maschi e femmine retrocedono “psichicamente allo stadio prelinguistico di unione indifferenziata con la madre”, ma tentano di superare lo smarrimento di significato in due direzioni opposte: nel caso degli uomini, “con il matricidio simbolico o reale” e, nel caso delle donne, con l’assunzione di “un ruolo materno sacrificale”.

Se queste dinamiche psicoanalitiche sono vere (Forcades si appoggia, anche se solo in parte, su studi di Julia Kristeva) si spiegherebbero due differenti fenomeni a partire dall’esperienza comune di “aver avuto un corpo di donna a disposizione durante i primi mesi di vita”: che “la principale violenza che si esercita contro le donne abbia come responsabili uomini che appartengono al loro circolo intimo; uomini che le amano o le hanno amate”; e che, sull’altro versante, “malgrado risulti ovvio che la violenza esercitata contro di loro é gratuita e non ha alcun motivo logico, le donne maltrattate dai loro compagni o dai loro familiari maschi più vicini si sentono responsabili di non averla evitata ed esprimono solitamente sensi di colpa”. Amore peccato violenza e fede secondo una monaca benedettina

 

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Augusto Cavadi
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Giornalista pubblicista, Filosofo. Fondatore della Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone di Palermo
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