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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Pochi sanno che tra gli obiettivi previsti dal Pnrr per l’Italia vi è quello di piantare 6,6 milioni di alberi, entro il 2024, in 14 città metropolitane. Gli alberi sono fondamentali per l’equilibrio ecologico del nostro pianeta, come in questi anni non si è stancato di ripetere il botanico Stefano Mancuso e come ha compreso l’Unione Europea.
Ma, a parte ciò – che già non è poco -, gli alberi hanno un rilievo che definire simbolico è poco: testimoniano le nostre radici, costituiscono il perno del nostro passato, anche remoto, che si tramanda e rimane attuale nel presente. Tra di essi, un albero in particolare assume per la civiltà mediterranea valore identitario: l’ulivo.
Non a caso un ulivo è in primo piano in un romanzo singolare e atipico come pochi, E tornarono a volare le mignole di Loredana Sarcone, edito da Navarra.
Il protagonista di E tornarono a volare le mignole, Ruggero, è chiamato Alivu e con un secolare ulivo dei poderi dei suoi avi ha, fin da piccolo e per tutta la vita, un rapporto particolare: con quell’albero – al quale è legato da un affetto profondo – dialoga, ad esso si rivolge nei momenti più importanti ottenendo, quale risposte ai suoi interrogativi, segnali che si rivelano profetici. Se qualcosa Ruggero può rimproverarsi in una vita vissuta con generosità, rettitudine, onestà è nel non avere sempre saputo cogliere, o nell’avere colto troppo tardi, i messaggi dell’albero suo amico.

Quello della Sarcone, come detto, è un romanzo fuori dagli schemi: vi è una storia d’amore come collante, ma attorno a essa vi è tant’altro. La civiltà contadina e i suoi valori, tra le altre cose, la contrapposizione della vita di paese – dove i valori del mondo rurale rimangono saldi – a quella cittadina – che quei valori tende ad affievolire -, la forza dei sentimenti e della solidarietà, il coraggio delle scelte difficili e scomode frutto della propria coscienza, l’importanza del sapere e del culto della conoscenza; il tutto dentro la cornice della Storia che scorre tra le pagine di E tornarono a volare le mignole nei momenti cruciali del nostro Paese con i suoi riflessi in Sicilia, dove il romanzo è ambientato: quelli del fascismo, del secondo conflitto mondiale, della Resistenza, del Dopoguerra.
Si tratta verosimilmente di un romanzo autobiografico, come può evincersi da un passo dell’introduzione riportato nella quarta di copertina: “ Questa è la storia di mio padre Ruggero e di mia madre Rosalia…Io e Virginia abbiamo avuto due papà e due mamme e io racconto la loro vita…”. Come ciò sia potuto accadere si lascia al lettore la sorpresa di scoprirlo leggendo il romanzo, ma preme sottolineare quanto intenso sia l’amore tra Ruggero e Rosalia: un amore che resiste nel tempo e che, proprio per la sua sfida allo scorrere degli anni oltre che per la sua genuinità, richiama – sebbene i personaggi e i contesti siano assai diversi – quello tra Florentino Ariza e Fermina Daza in uno dei capolavori di Gabriel García Márquez, L’amore al tempo del colera, e d’altra parte in questo romanzo inconsueto non mancano tratti confinanti col realismo magico della narrativa sudamericana del Novecento.
Un romanzo atipico anche nella scrittura, E tornarono a fiorire le mignole, in cui la narrazione è affidata in parte al dialetto, ma non per assecondare tendenze in voga dettate da ragioni di mercato, quanto piuttosto per rimarcarne l’accento etno-antropologico.
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Saggista e critico letterario