L’Islam dilaniato da sciti e sunniti ripropone l’enorme difficoltà di rimuovere le tragedie delle guerre di religione, i conflitti più lunghi e spietati nella classifica degli orrori di tutte le guerre che hanno funestato l’umanità.
Dal Medio Oriente, il punto di rottura di un conflitto tecnologico avanzato rischia di coinvolgere direttamente Arabia Saudita, Iran, Israele e Stati Uniti, con un progressivo allargamento alla Nato. Una guerra di religione che divampa sul petrolio.
“Le raffinerie colpite nei giorni scorsi in Arabia Saudita” -spiega l’editorialista Mauro Indelicato esperto di strategie politiche e militari – “rientrano nel contesto della guerra nello Yemen, dove i sauditi sono impegnati dal 2015 in un logorante conflitto contro i ribelli sciiti Houti filo iraniani, al potere a Sana’a. Nonostante l’impiego di ingenti quantità di soldi e mezzi e alla superiorità tecnologica ed economica rispetto agli avversari, in questa guerra i sauditi non riescono ad avere ragione degli Houti ed il conflitto è sostanzialmente in una fase di stallo.”
Uno Yemen Vietnam per l’Arabia Saudita?
Si gli Houti negli ultimi mesi usano il lancio di missili verso il territorio saudita con l’intento di mettere in difficoltà in primis l’immagine del governo di Riad e ultilizzano anche una certa capacità nell’attacco con i droni. Quanto accaduto nelle due raffinerie saudite colpite è frutto proprio della strategia degli Houti: colpire obiettivi sensibili sauditi per danneggiare i piani politici e militari dei Saud.
Replica saudita?
Da Riad si punta, in primis, il dito contro l’Iran. I due paesi si contendono l’influenza nell’area del Golfo: da un lato i Saud sono principali esponenti dell’Islam sunnita wahabita, mentre Teheran rappresenta la nazione guida dell’Islam sciita. Ma la rivalità tra le due nazioni è, in primo luogo, di natura economica e politica. Da più parti il conflitto nello Yemen viene considerato alla stregua di una vera e propria guerra per procura, in cui sauditi ed iraniani si fronteggiano in un campo terzo per il predominio nell’area. Per questo l’Arabia Saudita lancia sospetti contro l’Iran per l’attacco alle due raffinerie. Gli Stati Uniti dal canto loro, da stretti alleati sauditi da subito caldeggiano i sospetti del governo di Riad.
Ruolo di Washington?
La Casa Bianca soprattutto con Donald Trump, appoggia in toto la linea dell’Arabia Saudita e si schiera apertamente contro l’Iran. Dopo avere annullato l’accordo sul nucleare negoziato da Obama nel 2016 l’Amministrazione Trump ha anche inasprito le sanzioni contro Teheran.
Scenari?
L’attacco contro le raffinerie saudite, per le quali comunque l’Iran nega ogni responsabilità, complica certamente il quadro: gli Usa soprattutto appaiono più minacciosi contro Teheran e si allontanano prospettive di dialogo per risolvere la grave situazione in cui versa lo Yemen.
Anche perché non bisogna dimenticare che gli Usa di Trump sono molto vicini ad Israele, paese da sempre in contrasto con l’Iran. La convergenza tra Usa, Arabia Saudita ed Israele spiega la delicatezza del momento e la tensione generata dagli attacchi contro le raffinerie saudite. Mai come in questi mesi ed in queste settimane si arriva così vicini ad un conflitto a più vasta scala di natura regionale. Ed alle minacce che giungono dal campo avversario, Teheran risponde facendo presente di essere pronta ad eventuali attacchi e di avere le basi americane della zona a portata dei propri missili.
Ripercussioni economiche internazionali?
Le conseguenze più evidenti di quanto accaduto in Arabia Saudita, riguarderanno unicamente gli andamenti dei prezzi del greggio: intaccare il sistema industriale del petrolio saudita, vuol dire far perdere al mercato in un solo colpo una buona fetta di offerta internazionale del petrolio. Si calcola che, a seguito dei danni riportati dalle raffinerie attaccate, un buon 5% della produzione mondiale in questi giorni verrà meno. Riad afferma di aver attinto alle riserve per ridimensionare la portata del danno, ma inevitabilmente i prezzi sono destinati a salire per via dei milioni di barili che mancheranno all’appello rispetto alla produzione media giornaliera.
Ma in relazione ai possibili sviluppi futuri, occorre considerare anche l’imprevedibilità del presidente Usa: già nei giorni scorsi, a minacce esplicite contro Teheran, ha fatto seguire posizioni volte alla ripresa del dialogo, senza nascondere la possibilità di incontrare il presidente iraniano Rohani. Trump, in particolare, potrebbe applicare la stessa strategia già vista in occasione del dialogo con la Corea del Nord: prima minacce esplicite ed inasprimento delle sanzioni, successivamente incontri bilaterali diretti con Kim Jong Un.