Intuizione profetica, sindrome da leadership perduta o complesso di Crono? Lo scoop di Repubblica che intervista Matteo Renzi consente anche di leggere in controluce nella scissione in corso.
Quasi come nella trascrizione di una seduta psicanalitica, sembrano emergere le motivazioni profonde e originarie, risalenti all’infanzia politica o a recenti e ancora non concluse elaborazioni di lutto per la perdita del potere, direbbero gli eredi di Freud, Skinner, Maslow e Schachter, cioè il Gotha della Psicanalisi.
Non è una vendetta spiega Renzi, che però precisa: “il Pd mi ha sempre trattato come un estraneo, un abusivo, anche quando ho vinto le primarie e le europee”.
Cause ed effetti si rincorreranno per tutta la legislatura, anche se quella di Renzi più che dal Pd sembra in realtà un’auto scissione, una divisione fra gli stessi renziani.
A meno che non siano scelte tattiche, dal neo ministro della Difesa Lorenzo Guerini a Luca Lotti ad Alessia Morani, appena nominata sottosegretaria al Ministero dello sviluppo, i renziani doc che non seguiranno l’ex Segretario-Premier fuori dal Pd sono forse più numerosi degli scissionisti.
Secondo gli elenchi ancora in via di definizione al Senato il nuovo gruppo del Renzi party verrebbe formato, oltre che dallo stesso leader, da: Francesco Bonifazi, Teresa Bellanova, Tommaso Cerno, Davide Faraone, Eugenio Comincini, Nadia Ginetti, Ernesto Magorno, Leonardo Grimani e forse Mauro Laus e Mauro Marino.
Mentre i deputati che avrebbero deciso di seguire Renzi sarebbero fino adesso: Ettore Rosato, Maria Elena Boschi, Gennaro Migliore, Ivan Scalfarotto, Michele Anzaldi, Roberto Giachetti, Silvia Fregolent, Marco Di Maio, Anna Ascani, Luciano Nobili, Luigi Marattin, Lucia Annibali, Mauro Del Barba, Mattia Mor, Nicola Carè, Massimo Ungaro.
Pochi, molti? È ancora presto per dirlo. Al Nazareno la diaspora viene vissuta come una sorta di liberazione, di fine dell’incubo quotidiano di dovere rintuzzare critiche e attacchi interni.
Da Goffredo Bettini a Franceschini allo stesso Nicola Zingaretti si attende l’epilogo con fatalismo e paziente rassegnazione.
Lo sforzo unitario del Pd che non abbandona il Pd è quello di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per impedire la scissione, ma che Renzi meditava l’uscita dall’elezione della nuova segreteria.
La vera partita politica è quella del governo Conte bis e della durata delle legislatura. Le chances di incidenza politica sono alternative: l’iniziativa di Matteo Renzi potrebbe dimostrarsi geniale, perché anticipatrice di una svolta liberal riformista della politica italiana, oppure confermarsi come per tutte le scissioni della storia parlamentare sterile e circoscritta, nonostante l’arruolamento di deputati e senatori in uscita da Forza Italia e dal gruppo misto.
Per una sorta di coazione a ripetere, che risale alla scissione di Livorno del 1921 e che si è perpetuata dal Centro Sinistra di Moro e Nenni, fino ai Governi di Romano Prodi, la politica della sinistra ha sempre un retrogusto amaro. E talvolta oltre che autolesionista anche masochista.