Il paso doble di Silvio Berlusconi sullo sfondo del Quirinale si conclude con una studiata spaccata ad effetto che, sull’applauso liberatorio del centrodestra, si prefigge in realtà di rilanciare il ruolo del Cavaliere come kingmaker del futuro inquilino del Colle.
Politica e storia alla vigilia di uno dei crinali più incerti della Repubblica, elaborano intanto l’inquietudine per una svolta ancora non nettamente delineatasi con l’analisi dei numeri parlamentari.
Secondo i pour parler e i “sentiment” degli ambienti parlamentari, il totalizzatore virtuale dei voti in progress dei vari candidati assegna a Mario Draghi una potenziale pole position con circa 480 ipotetici voti iniziali sulla carta, provenienti da tutto il centro sinistra, dai renziani a numerosi esponenti dei gruppi 5 Stelle, Lega, Forza Italia e del gruppo misto.
A questo ipotetico blocco di “sentiment”, oltre alle file compatte dei Fratelli d’Italia, si contrappongono i restanti voti leghisti, azzurri, pentastellati e del misto che si attesterebbero, sempre sulla carta, complessivamente a quota 380. Gli indecisi sarebbero 149. La grande differenza è connotata dalla tendenza: i voti per il Premier sarebbero cioè in crescita.
Di fatto ratificato dal ritiro al rallenty di Berlusconi, per il centrodestra l’analogo prospetto di indicazioni di voto rischia di gelare ulteriori candidature e anzi di rafforzare la convergenza su Draghi.
Ma chi succederà a Draghi se i sentiment della vigilia verranno confermati fin dall’esito dei primi scrutini ? ci si chiede a Montecitorio.
La frammentazione dei partiti, le ambizioni o l’impotenza dei leader, il marasma economico provocato della pandemia ed il panico dietro l’angolo che trapela dai mercati, stanno determinando l’urgenza di una scelta di assoluta garanzia internazionale ampiamente condivisa per il Quirinale. In sostanza è l’identikit di Mario Draghi, che dal Colle ancorerebbe l’Italia, pur con tutte le enormi contraddizioni del suo sistema politico, ai primi posti dell’Europa e del contesto mondiale. E garantirebbe all’opinione pubblica nazionale l’essenzialità del ruolo dei partiti.
Del resto, lasciare Draghi alla guida del Governo e imbrigliarlo come garante operativo della gestione del piano di aiuti europei, non eviterebbe ai partiti di fare i conti con la consequenziale discesa in campo del Premier. In prima persona o attraverso un rassemblement che si riconosca nella sua azione di Governo.
E allora, si chiede più di un leader, perché rischiare l’eclissi e non cavalcare l’onda del Draghi for seven ? Che secondo i maliziosi scongiurerebbe oltretutto l’alternativa del Draghi forever. Lo scenario della svolta unitaria prevede che la scelta di un politico di garanzia anche per Palazzo Chigi ( Casini ? Moratti? ) faccia parte dell’accordo sul Presidente condiviso. “L’apprezzamento è una cosa meravigliosa: fa si che ciò che è eccellente negli altri appartenga anche a noi”, sosteneva Voltaire.
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Fondatore e Direttore di zerozeronews.it
Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Rai Palermo e Tg1