Hic sunt peones. Anche se virtualmente, all’ingresso del transatlantico campeggia un cartello del quale si avvedono soltanto i politici perspicaci e in buona fede: “Questo è il territorio degli indomiti parlamentari semplici, i cosiddetti peones, in grado di sbaragliare leader arroganti e narcisisti “.
Alimentata dall’exploit dei consensi lievitati spontaneamente per Sergio Mattarella e provenienti dalla base del Gruppo misto, dei 5 Stelle, del Pd e di vari altri partiti, la leggenda della rivolta dei peones si è trasfigurata in storia parlamentare.
Da Giorgio Trizzino a Primo De Nicola, da Flavia Piccoli Nardelli a Steni Di Piazza, da Angela Ianaro a Paola Boldrini, per citarne soltano alcuni, i peones hanno diverse provenienze, sensibilità ed esperienze. Armati della loro coscienza hanno fatto letteralmente cappottare capi partito del calibro di Matteo Salvini e Giuseppe Conte.
Prima ancora del rullo compressore dell’accoppiata Mattarella Draghi, per gli attuali leader l’effetto peones è destinato ad incidere nell’ambito delle varie forze politiche. Ecco le sintesi e i riflessi delle valutazioni di massima che i peones dall’interno del Parlamento hanno dei principali capi partito:
Enrico Letta
Ne esce bene sotto tutti i punti di vista. Coerentemente ha seguito la rotta delle due stelle polari del Pd: Sergio Mattarella e Mario Draghi, e non se né mai distaccato anche nei momenti più critici, determinati dall’inaffidabilità e dagli inconfessabili tornaconti personali degli alleati interni ed esterni al Nazareno. Pur con un numero di grandi elettori inferiori a quelli del centro destra e dei 5Stelle, esce nettamente da vincitore dalla battaglia del Quirinale e dimostra di avere capacità, intuito e “visione” da leader. Per evitare di essere fagocitato dalle correnti del Nazareno deve tuttavia rafforzare la segreteria e il suo gruppo dirigente con un veloce congresso prima delle politiche ed inglobare da un lato Speranza, Bersani, D’Alema e tutti gli esponenti che lasciarono il Pd durante la segreteria Renzi, e dall’altro i transfughi di Forza Italia e dei 5 Stelle.
Matteo Salvini
I titoli negativi si sprecano: dal Papete al carnevale, collezionista di sconfitte, pugile al tappeto, illusionista di candidati e così via… ma quando dal sarcasmo e dall’invettiva politica si passa al bilancio della legislatura in corso, i risultati mostrano una curva discendente che dai successi alle politiche del 2018 e alle europee 2019, negli ultimi tre anni è precipitata. Dall’uscita dal governo Conte-Salvini e dal Viminale non ha letteralmente indovinato una mossa, e nonostante sia riuscito a fare rientrare la Lega nel governo Draghi ha dovuto restarne fuori a subire le scelte e i fatti compiuti decisi dal Premier. A detta di tutti gli osservatori e degli stessi colleghi di partito, la gestione dell’elezione del Presidente della Repubblica è stata disastrosa. E’ partito gestendo male l’autocandidatura di Berlusconi, dando l’impressione di aver congiurato alle spalle del Cavaliere costringendolo al ritiro ed ha scartato pregiudizialmente le uniche due opzioni condivise, Draghi e Mattarella, per lanciarsi in una serie di candidature non sufficientemente concordate e supportate dai voti parlamentari. A cominciare dall’harakiri della candidatura del Presidente del Senato Elisabetta Casellati. Il tutto con l’aggravante di subire l’evidente predominanza tattica e strategica di Giorgia Meloni. Quanto durerà ancora alla segreteria della Lega ? Dalle idi di marzo ogni settimana sarà buona per sfiduciarlo
Giuseppe Conte
Secondo le definizioni politiche più benevole ha dimostrato di possedere, più che le qualità del leader di partito, esclusivamente capacità di un commissario liquidatore. Dalla sua contrastata nomina al vertice dei 5Stelle, all’elezione dei Capigruppo parlamentari, alle nomine negli enti di Stato, alla gestione delle trattative per il Colle, non ha mai toccato palla e dato l’impressione di non controllare il Movimento. Plateale la sconfessione a reti unificate, da parte di Luigi Di Maio, del tentativo di ritorno di fiamma con Salvini. Per Giuseppe Conte dopo i tanti veti iniziali a Draghi e al bis di Mattarella, la profonda frattura dell’alleanza con Letta e Il Pd, l’allontanamento con Goffredo Bettini e il muro contro muro con Di Maio, che ha già avviato la resa dei conti interna, si preannunciano settimane di difficile gestione dei 5 Stelle, sempre più a rischio implosione e scissione. Insomma, solo chiacchere, cravatte e pochette…
Matteo Renzi
Sostanzialmente pareggia fuori casa. Non è riuscito a far eleggere né Casini né Draghi, ma è stato fra i primi a intuire la soluzione della rielezione di Mattarella. Ha ricucito ed è stato leale con Enrico Letta e si è coraggiosamente schierato col segretario Dem e la sinistra per sbarrare il passo a Berlusconi, alla Casellati e alla presunta candidatura della prima presidente donna mandata allo sbaraglio da Salvini e Conte nel tentativo di scongiurare i loro plateali fallimenti su tutta la linea.
Giorgia Meloni
Come dimostra l’accusa di gattopardismo rivolta alla maggioranza che ha rieletto il Capo dello Stato, l’evidente naufragio di Salvini e Conte ed il dissolvimento in progress di Forza Italia, la avvantaggiano sul medio e sul lungo termine. Ovvero sull’azione di governo nell’ultimo anno di legislatura e sulla composizione delle liste elettorali per le politiche del 2023. La leader di Fratelli d’Italia è consapevole che nell’ambito del centrodestra dovrà affrontare la difficile crisi e l’evaporazione, chiamata transizione, all’interno di Forza Italia quanto, dopo la sempre più probabile sostituzione di Salvini, la nuova e più agguerrita classe dirigente della Lega.