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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonio Borgia
Approfondendo la storia della mafia siciliana colpisce quello che, nel tempo, per moltissimi abitanti dell’isola e per la stessa cosa nostra, é stato il grande sogno del separatismo.
Nel libro Nascita della mafia di Salvatore Mugno si ricorda come le due relazioni riservate del 1838 del Procuratore del Re a Trapani Pietro Calà Ulloa, inviate al Ministro di Grazia e Giustizia del Regno delle Due Sicilie –Parisio-, ebbero come conseguenza alcune riforme attuate dal Re Ferdinando II al fine di far scemare il malcontento popolare che aveva portato a una serie di rivolte e disordini in Sicilia. Tale politica, avente lo scopo di dirimere l’annosa “questione siciliana”, fallì e il desiderio dell’isola di separarsi da Napoli crebbe.

Dopo l’annessione al Regno d’Italia, certificata dal plebiscito del 21 ottobre 1860, successivo alla liberazione ad opera di Garibaldi e delle sue “camicie rosse”, supportate da migliaia di picciotti ben armati (sollecitati ad arruolarsi dai boss mafiosi e dagli aristocratici), iniziarono ad emergere le prime avvisaglie dell’insofferenza.
Malgrado la maggioranza dei SI espressa da oltre il 99% degli iscritti alle liste elettorali delle province siciliane (ricordiamo, comunque, l’impossibilità del voto segreto ai seggi, a causa della presenza di due urne con apposti il “si” e il “no” e la minacciosa presenza di mafiosi stipendiati dai garibaldini con i soldi prelevati dal Banco di Sicilia), pochi anni dopo iniziarono violente dimostrazioni contro i Savoia, per la delusione delle mancate promesse sull’assegnazione delle terre ai contadini che avevano combattuto con l’Eroe dei due mondi, per le nuove tasse imposte, per la leva obbligatoria introdotta nonché per la miseria in aumento e la repressione attuata dalle truppe.
In questo contesto, già di per sé delicato, vennero programmate azioni atte a destabilizzare come la famosa “vicenda dei pugnalatori di Palermo”, posta in essere la notte fra l’1 e il 2 ottobre 1862 quando, nel capoluogo, 13 uomini scelti a caso furono accoltellati in maniera non grave (con una replica mortale il 13 gennaio dell’anno dopo), sotto la sospetta regìa del senatore Romualdo Trigona, Principe di S.Elia, ovvero l’omicidio, il 3 agosto 1863, dell’ex Generale garibaldino Giovanni Corrao, palermitano, divenuto capo dell’ala estremista del Partito d’Azione cittadino.
La difficile integrazione dei siciliani, il mancato appoggio ai funzionari piemontesi e il consistente aumento di gravi reati (nel 1873, il Ministro dell’Interno Girolamo Cantelli segnalò che la Sicilia registrava un omicidio ogni 3.194 abitanti, con una media molto più alta nella parte occidentale, a fronte di uno ogni 39.089 in Lombardia o uno ogni 44.674 in Veneto), oltre alla partecipazione della mafia alle violente contestazioni antisabaude grazie ai rapporti con i capi insurrezionalisti, ben presto fecero comprendere come il clima generale fosse orientato verso la rinnovata speranza di ottenere l’autonomia dell’isola, aspirazione alimentata da molti aristocratici ed ecclesiastici, già nostalgici dei Borboni.
Uno degli storici a scrivere di detta aspettativa è stato lo storico palermitano Giuseppe Carlo Marino nel suo libro Storia della mafia.
Il predetto ha segnalato che, negli anni ’70 del XIX secolo, schierandosi con il governo della Sinistra parlamentare, Cosa Nostra “ottenne quelle garanzie negatele dalla Destra storica circa la continuità e l’intangibilità dei cosiddetti «interessi siciliani» coincidenti con i privilegi dei baroni e dei gabelloti: si assicurò così, al segno di un’invocata autonomia dei siciliani, il dominio sull’isola dei potentati del latifondo, inaugurando quel rapporto organico tra statualità e proprietà latifondistica il cui esito tragico sarebbe stato per i contadini e per il movimento democratico la dura repressione, attuata da Crispi, dei fasci siciliani”.
In una seconda fase delineata da Marino, individuata nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, di fronte all’intenzione dei partiti di massa (Popolari di Sturzo e socialisti) di “attuare nell’isola una riforma agraria per soddisfare le richieste dei contadini (in gran parte combattenti e reduci) che avevano occupato i terreni, i potentati mafiosi della società del latifondo risposero con un ricatto, ventilando la minaccia di impegnare le loro forze in un’operazione secessionista dell’isola dallo Stato nazionale”, ottenendo la ricomposizione della rottura sotto il fascismo.
La terza fase si ebbe nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, con le premesse dello sbarco anglo-americano in Sicilia del 10 luglio 1943.
Nel libro Padri e padrini delle logge invisibili di Piera Amendola, a tal proposito, si segnala una riunione svolta il 23 luglio 1943 fra Charles Poletti (massone, nominato capo degli Affari Civili dell’AMGOT –Governo Militare alleato- in Sicilia), i vertici dell’esercito americano e i rappresentanti del Movimento per l’indipendenza della Sicilia, capeggiati dall’avvocato Andrea Finocchiaro Aprile, un 33° grado della massoneria italiana, già Sottosegretario nei governi Nitti e Giolitti (Tommaso Buscetta lo indicò come affiliato alla «famiglia» palermitana di Porta Nuova).
Non si conosce l’esito dell’incontro ma, pochi giorni dopo, a Roma, il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia ufficializzò la sua esistenza tramite un atto formale firmato dal Conte Lucio Tasca, dal boss Calogero Vizzini e proprio da Andrea Finocchiaro Aprile.

Secondo quanto descritto nel libro Da cosa nasce cosa di Alfio Caruso, Finocchiaro Aprile aveva raccolto intorno a sé “i settori più retrivi e più preoccupati della nobiltà e della borghesia, accomunati da un identico interesse: la difesa del latifondo”.
Alcuni, addirittura, sognavano la trasformazione della Sicilia in una seconda Malta sotto il protettorato inglese, altri ipotizzavano di unirsi agli Stati Uniti d’America come 49° stato federato.
Il passato trascorso al governo indusse il predetto ad inviare, nel gennaio 1943, un memorandum agli ambasciatori presso la Santa Sede in cui il popolo siciliano chiedeva il riconoscimento della propria sovranità nazionale.
Finocchiaro Aprile, per riuscire nell’intento di ottenere l’indipendenza, cercò di giocare su più tavoli e inviò alcune lettere anche al premier inglese Winston Churchill, al Presidente Roosevelt (e alla moglie) nonché al segretario di Stato americano Cordell Hull, così creando notevole imbarazzo negli stessi destinatari che dovevano barcamenarsi fra gli accordi spartitori con i sovietici, i rapporti con il nuovo governo italiano e l’alleanza stipulata con i poteri siciliani per governare militarmente l’isola.

Secondo lo storico Giuseppe Carlo Marino, comunque, il maldestro tentativo fu definitivamente bloccato grazie ad un viaggio in Italia dell’importante diplomatico Andrej Vysinskij, uomo di Stalin, che si recò anche a Palermo, nel dicembre 1943, per esternare
«l’intransigente ostilità sovietica al separatismo siciliano».
Nel febbraio 1944, quando il Generale Harold Alexander, comandante delle Forze alleate in Italia, consentì il passaggio dei poteri dall’AMGOT al governo italiano (che nominò un Alto Commissario per l’isola), i separatisti siciliani decisero, in un convegno svolto a Taormina, di passare alla lotta armata, creando successivamente l’EVIS (Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia) affidato al giovane docente universitario catanese Antonio Canepa (Il Comandante Turri, poi ucciso misteriosamente in un conflitto a fuoco con i Carabinieri, nel giugno 1945).
Riferendosi a tale periodo, la Commissione parlamentare antimafia della XI Legislatura (Presidente l’onorevole Luciano Violante), nella relazione approvata il 6 aprile 1993, a pag. 45 ha scritto:
“Una seconda forma di legittimazione (alla mafia, ndr)…venne dalla protezione che il governo alleato conferì, soprattutto nei primi tempi dopo lo sbarco, al movimento separatista, che era l’unica organizzazione antifascista organizzata in Sicilia, ma con stretti rapporti con la mafia. Nella prima Commissione antimafia vennero depositati i frontespizi di due documenti del consolato americano a Palermo, in data 21 novembre 1944 e 27 novembre 1944, che avevano come oggetto il primo: «Riunione di capi della mafia con il generale Castellano e la formazione di gruppi per favorire l’autonomia» e il secondo «Formazione di gruppi per favorire l’autonomia sotto la direzione della mafia”.
Ancora la relazione della Commissione:
“L’ufficio dei servizi strategici americano nel Confidential Appendix II al Report on conditions in liberated Italy n.11, con data 11 gennaio 1944, segnalava che:
«I leaders principali del partito separatista, si potrebbe dire addirittura la quasi totalità dei suoi aderenti, provengono dalle seguenti categorie: 1) l’aristocrazia…; 2) i grandi proprietari fondiari latifondisti, anche se di origine plebea; 3) i capi massimi e intermedi della mafia…; 4) professionisti mediocri o politici che sarebbero altrimenti condannati all’oscurità in un paese avanzato…».
«La confluenza di settori della mafia nel movimento indipendentista rafforzò tanto i separatisti quanto i mafiosi. I primi poterono avvalersi della forza della mafia sul territorio; i secondi trassero motivo di legittimazione dall’inserimento in un movimento politico, che appariva sostenuto dagli alleati. Successivamente, osserva la relazione Carraro (VI Legislatura, ndr): «…il governo di occupazione, tenendo fede alle promesse della vigilia, si affrettò a consegnare l’amministrazione dell’isola ai militanti del separatismo, mettendoli così in condizione di esercitare sui cittadini un potere reale e un’influenza spesso decisiva.»
Si faceva riferimento, come è ovvio, alla decisione di nominare sindaci di molti comuni siciliani capi mafia o persone dagli stessi designate.
In relazione e a conferma di quanto scritto dalla Commissione parlamentare sulle riunioni per decidere il futuro della Sicilia, Giuseppe Carlo Marino, sempre nel suo libro Storia della mafia, ha segnalato l’esistenza di due documenti top secret del novembre 1944, firmati dal console generale Nester, pubblicati in allegato a una relazione di minoranza della Commissione Parlamentare antimafia della VI Legislatura (maggio 1972-luglio 1976), in cui si riferisce di un “fitto interscambio tra massoneria, mafia, servizi segreti e autorità diplomatiche americane per studiare il da farsi di fronte a una situazione che stava consigliando di archiviare definitivamente le ipotesi secessioniste.”
Grazie alla diplomazia americana, pertanto, si cercò di far ottenere alla Sicilia l’autonomia sotto il governo italiano.
In tale prospettiva, sono da inquadrare gli avvenimenti successivi, come lo sfruttamento, da parte della mafia e dei politici favorevoli all’autonomia, della controversa figura di Salvatore Giuliano, nominato colonnello dell’Evis, poi abbandonato al suo destino una volta divenuto ingombrante, ovvero le numerose e violente sommosse popolari organizzate per anni, sfruttando la forte penuria di generi alimentari di prima necessità.
Secondo quanto riportato nel libro La scomparsa di Salvatore Giuliano di Casarrubea e Cereghino, il Movimento Indipendentista era anche una copertura delle attività eversive dei Servizi nazifascisti, come anche l’Esercito Volontario per l’indipendenza della Sicilia.
Successivamente, per la coincidenza delle strategie degli americani e dei nazifascisti sulla necessità di contrastare i comunisti in Sicilia, Giuliano diventò il braccio armato di entrambi per bloccare le aspirazioni dei contadini in relazione alla riforma agraria che Togliatti aveva intenzione di far approvare.
Nicola Tranfaglia, nel libro Mafia, politica e affari, segnala che, alla fine del settembre 1945, il ministro degli esteri del Governo Parri – Alcide De Gasperi – venne a conoscenza, mentre era a Londra, alla «Conferenza dei Cinque», di una lettera inviata dal Movimento indipendentista siciliano con la quale chiedeva l’appoggio delle potenze alleate per ottenere l’indipendenza dell’isola e la nomina a Stato sovrano.
Nel documento si segnalava l’ipotesi di un’insurrezione armata contro l’Italia.
Tale memorandum faceva seguito ad altro, del marzo 1945, inviato alla Conferenza di San Francisco, avente analoga richiesta di appoggio.
Il premier Parri, conseguentemente, decise l’arresto (eseguito il 3 ottobre 1945) e l’invio all’isola di Ponza di Finocchiaro Aprile e altri due esponenti.
La risposta dei separatisti fu immediata e violenta. Venne stipulato un accordo con Salvatore Giuliano per attaccare le forze dell’ordine. L’episodio più grave si ebbe il 16 ottobre 1945, quando il bandito Avila tese un’imboscata ad una pattuglia di sette Carabinieri, vicino Niscemi (CL), uccidendo tre militari.
Come si può comprendere, la guerriglia banditesca venne utilizzata per fare pressioni continue sul governo italiano soprattutto per patteggiare la fine del separatismo ed ottenere dallo Stato italiano le migliori condizioni di autonomia.
Quando le parti raggiunsero un accordo, fu promulgato lo Statuto di Autonomia Regionale (15 maggio 1946), la cui approvazione fu l’ultimo atto di Re Umberto prima dell’esilio a Lisbona.
Nella relazione conclusiva della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, datata 4 febbraio 1976, il Senatore Luigi Carraro affermò che l’autonomia regionale rappresentava il prezzo che lo Stato si era visto costretto a pagare per far rientrare nell’alveo della legalità la minacciosa protesta separatista, un prezzo pagato anche alla mafia per il ruolo che aveva avuto dallo sbarco in poi nonché per quello che avrebbe dovuto svolgere nei decenni successivi.
Queste le frasi utilizzate:
“Lo Statuto fu congegnato in modo da assicurare all’organismo regionale una somma di poteri particolarmente estesa che, col passare del tempo e la crescita economica e sociale, avrebbe finito col trasformare la regione in un mastodontico centro di potere.”
Per comprendere la gestione e gli effetti della concessa autonomia, occorre evidenziare che tutte le Commissioni di controllo e del Consiglio di giustizia amministrativa, organi preposti a vigilare sui fondi concessi alla Sicilia, sono di nomina regionale e che nel periodo 1946-1963 (come riportato dalla Commissione Parlamentare antimafia del 1976), sui circa 8.900 assunti negli uffici centrali o periferici della Regione (sia a livello minore che dirigenziale, molti dei quali provenienti dalla Sicilia occidentale) oltre il 90% non avesse svolto alcun concorso o partecipato ad alcuna prova selettiva.
Nel 1971, la Commissione Parlamentare antimafia rese noto l’inquietante esito delle indagini svolte ma mai portate a conoscenza fino a quel momento, in gran parte ripreso nel citato libro Mafia, politica e affari di Nicola Tranfaglia, dal quale è possibile dedurre come gli eventi degli anni 1947-1950 contribuirono a favorire l’escalation mafiosa nei vertici politico-amministrativi regionali dell’epoca, con il conseguente controllo degli appalti dei lavori pubblici, delle concessioni delle licenze, delle operazioni di bonifica dei terreni e dei vari consorzi.
Rimasto sopito per alcuni decenni, il desiderio del separatismo siciliano è ricomparso timidamente, come ricordato da Piero Messina nel libro Onorate società, quando il banchiere Michele Sindona, latitante per sfuggire alla magistratura Usa in relazione alla bancarotta della Franklin National Bank dell’ottobre 1974, arrivò in Sicilia ospite di esponenti di Cosa Nostra e tentò di convincere i capi mafia ad avviare una rivolta indipendentista, ricevendo un rifiuto al progetto.
Da documenti dell’Fbi, in seguito, è stato appreso che Sindona dichiarò di avere avuto l’appoggio della massoneria siciliana per il piano separatista, poi fallito.
Una conferma a tale vicenda si è avuta con le dichiarazioni del boss infiltrato Luigi Ilardo (“Fonte Oriente” in codice, gestito dal Ten. Colonnello dei Carabinieri Michele Riccio) circa le connessioni fra mafia e logge massoniche coperte, avviate alla metà degli anni Settanta quando la massoneria “assicurò il suo aiuto alla mafia per ottenere la scissione della Sicilia dall’Italia in cambio del suo appoggio nel tentare un colpo di Stato nel resto del Paese.”
Nel libro La strategia parallela dello stesso Michele Riccio e Anna Vinci sono riportate le frasi di Ilardo in materia: “Negli anni Settanta Gianni Chisena, come massone, aveva organizzato la discesa in Sicilia del Gran Maestro Luigi Savona per realizzare l’ingresso di Cosa nostra nella massoneria. Lo scopo era quello di ottenere un aiuto dalla mafia per i progetti golpisti, in cambio della promessa di favorire la scissione della Sicilia dall’Italia, lucrosi affari e aiuti giudiziari grazie alla rete massonica che tutto collega.”
“Savona scese a Catania nell’estate del 1977, prendendo come alloggio e base di incontri l’Hotel Excelsior, per poi spostarsi a Palermo e Trapani per organizzare presso le logge di quelle città incontri con i boss mafiosi provenienti dalle maggiori località siciliane…”
Il progetto separatista si fece consistente, invece, negli anni ’90, quando il vertice della mafia siciliana, sotto la direzione di Totò Riina, intuito il cattivo esito del maxiprocesso in Cassazione, iniziò a riunirsi alla fine del 1991 nelle campagne di Enna per programmare la strategia finalizzata ad attaccare lo Stato e creare un clima di terrore tramite attentati, per fini eversivo-separatisti.
Nel libro Onorate società, Piero Messina riepiloga concretamente la situazione che, dopo la sentenza della Cassazione del gennaio 1992 sul maxiprocesso di Palermo, portò al progetto mafioso di fondare alcuni partiti con base esclusivamente meridionale per tentare il separatismo dal resto d’Italia.
Messina, infatti, segnala come Cosa Nostra, per vendicare lo smacco della conferma delle condanne, con la ricerca di nuovi referenti esterni puntò a disarticolare le istituzioni, indebolendole fino a creare le premesse per la rottura dell’unità nazionale.
In parole povere, Riina riprese il sogno del separatismo post liberazione del 1943, al fine di formare una supermafia (comprensiva delle organizzazioni già esistenti) in grado di controllare uno Stato autonomo del sud.
Secondo diversi pentiti (in particolare Tullio Cannella, uomo di fiducia di Leoluca Bagarella), questo progetto avrebbe avuto l’appoggio della Lega Nord nonché quello dei servizi segreti.
Il famoso collaboratore Leonardo Messina ha rivelato che, nelle riunioni di Enna, venne in effetti discusso un progetto politico, concepito dalla massoneria, finalizzato alla creazione di uno stato indipendente del sud all’interno di una separazione dell’Italia in tre stati: uno del Nord, uno del Centro e, appunto, uno del Sud.
Occorreva creare un nuovo soggetto politico, La Lega sud o Lega Meridionale, quale naturale risposta alla Lega Nord.
Cosa Nostra, in pratica, aveva deciso di “farsi Stato” mediante l’indipendentismo votato alle urne grazie a diversi movimenti politici creati in tutto il Sud.
Nacque, dapprima, nel giugno 1989, a Roma, la Lega meridionale (testimonianza del commissario Farinacci della Dia, il 30/4/1997, a Palermo, al processo Andreotti, ripresa anche dalla trasmissione televisiva «Report» su Rai3, il 4/1/2021) che aveva, fra i punti del programma quello di abrogare la legge Rognoni-La Torre.

In una riunione tenutasi, al Jolly Hotel di Palermo, il 6 aprile 1991 (sempre secondo il funzionario Dia), venne addirittura ribadita la candidatura, nella suddetta Lega, di Licio Gelli – ex capo della P2 – e di Vito Ciancimino –ex sindaco di Palermo e affiliato a Cosa Nostra– nonché proposta quella di Michele Greco – detto “Il papa”, Capo della Cupola mafiosa siciliana -.
Come rivelato dall’ex politico Gianmario Ferramonti, nell’intervista rilasciata alla trasmissione «Report» su Rai3, il 4/1/2021, dietro tale Lega Meridionale vi era Gianfranco Miglio – ideologo della Lega Nord “legato ad Andreotti e Gelli”.
La figura di Licio Gelli, invece, è stata così delineata, nell’udienza del 10/7/2020 del processo della ‘Ndrangheta stragista a Reggio Calabria, dal PM Giuseppe Lombardo «Licio Gelli era il perno. Lui era il perno perché attraverso la P2 controllava i Servizi e attraverso la “Santa” la Mamma santissima controllava la ‘Ndrangheta e attraverso le componenti apicali di Cosa Nostra – come ci raccontano (i pentiti) Pennino, Messina, Avola, Malvagna – controllava Cosa Nostra.»
In un’intervista al Giornale del 20 marzo 1999, Gianfranco Miglio rivelò di aver trattato segretamente con Andreotti che, in cambio dell’appoggio della Lega Nord per salire al Quirinale, avrebbe promesso di suggerire una politica favorevole al progetto federalista propugnato dal partito.
Nello stesso articolo, Miglio, non si sa se provocatoriamente o meno, pronunciò alcune frasi molto discutibili: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate.”
Piero Messina, nel libro Onorate Società, segnala che Licio Gelli si prodigò per il progetto del separatismo meridionale, come spiegato dal pentito pugliese Marino Pulito, promettendo ai boss della Sacra corona unita di interessarsi per l’aggiustamento dei processi che li riguardavano in cambio dell’appoggio ai movimenti leghisti del Sud, in particolare la Lega meridionale.
La presenza in Puglia di Gelli e gli incontri con sacristi e ‘ndranghetisti sono stati poi confermati dalle indagini svolte.
Anche i pentiti di ‘ndrangheta, Filippo Barreca e Pasquale Nucera confermarono il piano di separazione nonché (Nucera) il fatto che solo i capi calabresi vicini alla massoneria deviata ne fossero al corrente e che fosse stata svolta un’apposita riunione nel santuario di Polsi per decidere l’appoggio.
Oltre alla massoneria deviata, erano interessati a favorire il separatismo del Sud anche esponenti della destra eversiva, fra i quali Stefano Delle Chiaie.
Come rivelato da Ferruccio Pinotti nel libro del 2023 Attacco allo Stato, una decina di giorni dopo l’arresto di Totò Riina (15 gennaio 1993) lo schieramento di Cosa Nostra che suggeriva di attendere gli eventi (Salvatore Cancemi e i suoi alleati) convocò una riunione per chiedere di bloccare la decisione sugli attentati già decisi.
Nell’occasione, Leoluca Bagarella, che riteneva di poter sostituire Riina al comando dell’organizzazione, fra le altre cose decise di continuare con l’idea del separatismo per cercare di aggregare la Sicilia agli Stati Uniti d’America, come ipotizzato ai tempi di Salvatore Giuliano.
Matteo Messina Denaro, per verificare il pensiero dei cugini americani su tale idea, contattò subito dopo un suo conoscente – Rosario Naimo -, latitante nel trapanese, con ottimi agganci negli Usa dove aveva vissuto per molto tempo.
La risposta d’oltre oceano, però, fu negativa perché sia Cosa Nostra americana sia gli Usa non avevano alcuna intenzione di ritornare su un argomento già discusso dopo la liberazione della Sicilia nel 1943.
Nel libro Da Cosa nasce Cosa di Alfio Caruso vengono evidenziate le dichiarazioni del collaboratore Vincenzo Sinacori proprio in merito alla voglia di separatismo di Cosa Nostra.
Secondo il predetto, infatti, nell’estate del 1993, Leoluca Bagarella inviò Matteo Messina Denaro da Saro Naomi, importante boss delle «famiglie» americane nonché originario del quartiere palermitano di San Lorenzo, per chiedergli se gli Stati Uniti fossero interessati ad avere la Sicilia quale cinquantunesimo stato federale.
L’interlocutore avrebbe risposto con una risata, promettendo comunque di interessarsi sull’argomento.
Cosa Nostra, in pratica, riteneva utopicamente di potersi distaccare dall’Italia per aggregarsi agli Usa, nella speranza che la grande distanza da questi ultimi avrebbe
consentito alla mafia di poter dominare indisturbata la Sicilia.
