Cuore & Batticuore
Rubrica settimanale di posta storie di vita e vicende vissute
by Maggie S. Lorelli
Ho conosciuto Eleonora Giorgi qualche anno fa, all’interno della libreria dove lavoravo. All’epoca era poco più che cinquantenne, ancora bella come al cinema.
Stringeva un cagnolino tra le braccia (un barboncino bianco, se la memoria non mi inganna) e si lamentava con me del fatto che alle casse le avessero detto che il cane non poteva attraversare la libreria con le sue zampe: se voleva portarlo con sé, avrebbe dovuto tenerlo in braccio. Era dolcissima, proprio come appare in tv, e non comprendeva perché una bestiolina così tenera e linda non potesse zampettare liberamente all’interno dello store.
Ne abbiamo approfittato per chiacchierare un pò del più e del meno; ricordo di averla aiutata a scegliere dei libri.

Da qualche mese, la vedo apparire ogni tanto in tv, ospite di alcuni programmi in cui racconta l’avanzata lenta ma inesorabile della sua malattia, un tumore al pancreas, che non le lascerebbe scampo.
Una donna, dunque, il cui tempo dell’esistenza – sei mesi o più, ha dichiarato – volgerebbe a un termine predeterminato. Una condizione anomala, rispetto ad un essere umano medio che, stando all’ultimo rapporto Istat sul BES (Benessere equo e sostenibile, 2023), avrebbe una speranza di vita pari a 83,1 anni.
L’aspettativa di vita in buona salute si ridurrebbe però a 59,2 anni. La malattia è infatti la discriminante più feroce riguardo all’andamento della parabola esistenziale, cui bisogna aggiungere accidenti di varia natura e disgrazie imponderabili che potrebbero spezzare una vita da un istante all’altro. Mi interrogo su quanto, conoscere la data di scadenza, come le mozzarelle, possa cambiare la concezione della morte. Una malattia incurabile lascia il tempo di prepararsi al salto nel vuoto, permettendo anche ai propri cari di “farsene una ragione”, secondo una comune espressione.
Ma questo non necessariamente rende il trapasso più tollerabile. Può rappresentare, anzi, uno stillicidio quotidiano, un tunnel oscuro che si é condannati a percorrere senza poter tornare indietro e che non prevede, al fondo, una luce di speranza. Ammesso che non si riesca a considerare la morte stessa, nei casi di persone illuminate da una fede salda, come una rinascita.
La malattia, poi, fa male: costringe il corpo a mille sofferenze e consunzioni, e fiacca una mente priva di prospettive che alla carne é inesorabilmente legata.
Mi sono chiesta se ostentare la malattia sui media sia un atto di esibizionismo veniale, o piuttosto di accettazione condivisa e consolante. Un coraggioso atto di educazione pubblica alla morte.
Propendo decisamente per la seconda ipotesi. Un’edificante controtendenza, in un’epoca in cui si tende a dare sfoggio edonistico della proiezione patinata di sé, mettendo al bando le imperfezioni e le emozioni negative, con il conseguente tabù sociale della malattia e di ogni altra calamità, percepite come una diminutio ostativa rispetto all’esaltazione superomistica imperante, soprattutto sui social network.
In questo senso, anche l’esposizione del cranio levigato dovuto alle numerose sedute di chemioterapia a seguito di un tumore ovarico da parte della supermodel Bianca Balti in diretta nazionale – co-conduttrice a fianco di Carlo Conti nella terza serata del Festival di Sanremo, visto quest’anno da oltre 13 milioni di spettatori nel suo picco medio di ascolti – rappresenta una bella lezione di realtà.
Una dea dell’Olimpo del glamour mondiale, da sempre esposta nelle sue vesti più ricercate all’interno di quella inarrivabile fiera delle vanità che è l’alta moda, fenomeno sociale che rappresenta un condizionamento estetico omologante, che decide di mostrarsi nella propria unicità, rappresentando solo se stessa e il proprio qui e ora sulla terra. Pelata, senza alcun guscio convenzionale. E tuttavia splendente, col sorriso sulle labbra, in una veste non meno incantevole della più illustre delle sfilate.
