Sulla Trump storm, la tempesta istituzionale che sta scuotendo gli Stati Uniti, pubblichiamo l’intervista rilasciata al Giornale di Sicilia dall’editorialista Massimo Teodori
A Washington i più ottimisti canticchiano una vecchia canzone di Bob Dylan che inizia con un liberatorio There must be some way out of here, deve pur esserci una via d’uscita…. Una canzone del 1970, gli anni cupi del dopo Dallas, del Vietnam e del Watergate. Anni fra i più critici della storia degli Stati Uniti, che il crescendo di tensioni a catena e di conflitti istituzionali dell’inizio della Presidenza di Donald Trump sembrano riproporre in tutta la loro drammaticità. Con un ritorno della sindrome della messa in stato d’accusa del Presidente, che caratterizzò la Casa Bianca di Nixon e in parte anche quella di Clinton. “Il 45esimo Presidente dà l’idea di non sapere che cosa vuole, quale è la sua linea politica e neppure quali sono esattamente i suoi poteri” sottolinea l’editorialista e storico dell’America Massimo Teodori.
- Le accuse di rivelazioni di notizie top secret al Cremlino e le tensioni per il licenziamento in tronco del Direttore dell’Fbi che indagava sul Russia-gate, sono arrivate al punto da rendere davvero possibile l’impeachment di Trump?
“Ritengo improbabile allo stato il ricorso alla procedura dell’impeachment che è lunga e complessa e richiede l’approvazione dei due terzi della camera alta, il Senato. Certamente la posizione di Trump è fortemente indebolita e delegittimata soprattutto perché il Presidente dà l’idea di non sapere che cosa vuole, quale è la sua linea politica e neppure quali sono esattamente i suoi doveri e i suoi limiti costituzionali. Per l’impeachment, del resto sarebbe necessaria un’imputazione “grave” che al momento non c’è così come non c’è la disponibilità dei repubblicani a mettere in questione quella che , malgrado tutto, è stata la loro vittoria elettorale.”
- Ci potrebbero essere rischi per la sicurezza non solo degli Stati Uniti ma anche dell’occidente?
“Sembra che i servizi di sicurezza di Israele siano molto arrabbiati per il comportamento disinvolto di Trump in materia di informazioni sul terrorismo. Certo, se tutto l’apparato statunitense dell’intelligence viene stravolto, è l’intero sistema di sicurezza dell’occidente che entra in crisi.”
- Quanto inciderà tutto questo sulla legittimazione interna e sulla credibilità estera di Trump e degli Stati Uniti?
“L’elezione di Trump ha messo in discussione un punto cardine degli assetti geo-strategici internazionali che negli ultimi cinquanta anni sembrava acquisito: gli Stati Uniti come guida del “mondo libero” anche attraverso le alleanze come la NATO che non erano soltanto militari. Ora si intravede qualcosa di diverso negli equilibri mondiali, un assetto multipolare che però non ha dei punti forti, essendo l’Europa priva di unità e coesione. Nessuno può dire quel che succederà.”
- A cosa è dovuta principalmente questa gravissima crisi Usa: all’inadeguatezza di Trump o all’inedito rigetto istituzionale nei confronti del vincitore delle presidenziali?
“Trump, in realtà non rappresenta un’alternativa politica diciamo così della destra populista e isolazionista. E’ piuttosto il nulla, soprattutto in politica estera. La resa dei conti ci sarà alle elezioni di mid-term, quando con ogni probabilità i Repubblicani perderanno il Senato e il GOP, il Grand Old Party repubblicano, dovrà rivedere la linea politica e prendere decisioni anche sulla presidenza”.
- Il sistema democratico americano è in grado di reggere al terremoto Trump o si va incontro ad una presidenza sempre più accidentata?
“La mia opinione è che qualsiasi mattana farà Donald Trump, il complesso sistema americano, cioè la tripartizione dei poteri, Stato federale e singoli Stati, forte presidio dei diritti individuali e della stampa, reggerà all’impatto come ha fatto in questi primi cento giorni.”
- In caso di successione del vice Presidente si andrà avanti fino alla naturale scadenza del mandato o si prefigura una sorta di grosse koalition congressuale per superare il vulnus istituzionale?
“Il sistema presidenziale non prevede in nessun caso l’intervento del Congresso negli affari dell’esecutivo.”