Cuore & Batticuore
Rubrica settimanale di posta storie di vita e vicende vissute
Riceviamo e pubblichiamo
Non bastasse il dolore acerbo o sopito della perdita delle persone a noi care, torna il giorno dedicato al ricordo dei defunti. Ancora una volta siamo costretti a prendere atto della nostra caducità.
Mentre riflettevo su tutto questo, mi sono imbattuta in un vostro articolo, che esaminava con oggettivo distacco giornalistico le derive del rapporto tra persone sole e i loro animali da compagnia.
Il mio nucleo familiare è numeroso, fatto di umani e animali: il numero dei miei figli ha contribuito a innalzare il tasso di natalità del mio quartiere romano e, non paghi di una casa già fin troppo popolata, abbiamo preso a vivere con noi un cane di taglia grande, una tartaruga di terra, un criceto e pesci rossi a non finire.
Comunque ogni singolo essere animale che è venuto inevitabilmente a mancare ha provocato in tutti noi un dolore indicibile.
A ciascuno di loro è stato tributato un solenne rito di sepoltura, nel pieno rispetto della loro dignità animale. La nostra caotica e rumorosa vita è continuata. E la tristezza ha lasciato gradualmente il passo alla quotidianità.
Il vostro articolo mi ha riportato alla mente le tante persone, prive di affetti familiari, che hanno riversato totalmente il loro carico di amore su animali che definiamo riduttivamente “da compagnia”.
Non sono solo amici, ma i figli non generati o ormai assenti. Sono il compagno o la compagna che volutamente non è stata cercata o che non si è fatta trovare. Su di loro, creature generose e capaci di dedizione totale, la capacità di amore si amplifica a dismisura, tracimando dai confini della razionalità, per colmare un vuoto che rischia di farsi voragine.
Il dolore coglie sempre impreparati, ma in queste condizioni diventa devastante. La morte del cane o del gatto che hanno accompagnato anni di vita solitari è un evento che può certamente essere associato a quello di una persona cara. Non è blasfemia, è solo una infelicissima realtà.
Non da meno lo strazio di un animale a cui viene a mancare il proprio padrone, può segnare la fine di un’esistenza: conosco cani che si sono lasciati morire perché incapaci di sopportare la definitiva assenza della persona cara.
Gli animali possono soffrire?
Si chiedeva Jeremy Bentham: chi ha, o ha avuto, il privilegio di condividere anche solo un pezzo di strada con una creatura diversa da sé, sa che la loro sofferenza è assoluta. Quasi sempre, in questi casi, non rimane infatti neanche il conforto della propria dimora: i canili comunali, i rifugi di animali sono pieni di vecchi cani e gatti, arrivati lì, perché nessuno, dopo il padrone ormai scomparso, li ha più voluti.
Sfido chiunque a reggere quella tristezza infinita che straripa dai loro sguardi mai rassegnati. Dunque un pensiero, una preghiera per chi ancora sa recitarla, un fiore anche per loro in questi giorni di commemorazione dei defunti .
Alessandra Berardinetti

Siamo talmente d’accordo che ci permettiamo di dissentire, per difetto, da Fëdor Dostoevskij, il quale era convinto che Dio avesse donato agli animali i rudimenti del pensiero e una gioia imperturbata. In realtà chiamiamo animali gli esseri viventi ai quali neghiamo la proprietà di un’anima, mentre come aveva capito Voltaire “ é solo per un eccesso di vanità ridicola che gli uomini si attribuiscono un’anima di specie diversa da quella degli animali.”