Crisi dietro l’angolo e tutti al voto con lo sbarramento dell’8% ? Il Governo é in balia della tempesta politica in corso all’interno dei 5Stelle. Con Luigi Di Maio isolato e assediato dalla base del Movimento.
Tanto che a Montecitorio si evoca il rischio di un “Natale come Ferragosto” cioè di una crisi durante le vacanze di fine anno come quella dell’estate scorsa.
Una crisi salva Di Maio? Un miraggio, evidenzia l’incipit del comunicato stampa di Giorgio Trizzino, fra più accreditati deputati del Movimento: “E’ bene sia chiaro a tutti che non esiste alternativa al governo giallo-rosso ed il Presidente Conte ha la fiducia di tutti i parlamentari del Movimento 5 Stelle”.

Sulla maggioranza comunque incombe come una ghigliottina, il dibattito e soprattutto il voto sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, fissato per mercoledì 11 dicembre. Ma gli scogli a pelo d’acqua lungo la rotta dell’esecutivo sono rappresentati anche dalla Prescrizione, con i 5 Stelle e pochi altri contro tutti, e dai grovigli inestricabili di Ilva, Alitalia e autostrade.
Fondamentale, per i tempi e i modi di un’eventuale crisi di governo, è soprattutto la scadenza del 12 gennaio entro la quale almeno 65 senatori, cioè un quinto dei componenti di Palazzo Madama, possono chiedere il referendum costituzionale confermativo sul taglio dei parlamentari .
In caso di referendum bisognerebbe attendere fra due e tre mesi, attenersi alla volontà popolare e poi eventualmente sciogliere il Parlamento e indire le elezioni politiche anticipate.
Se invece non si raggiungesse il numero di parlamentari per richiedere il referendum confermativo, dal 12 gennaio il Governo avrebbe due mesi per rivedere i collegi, attualmente previsti per 309 senatori nazionali, 6 esteri, 618 deputati nazionali e 12 esteri. Collegi che dovrebbero essere ridotti a 200 senatori, 4 dei quali esteri, e 400 deputati, fra cui 8 esteri. La riduzione dei parlamentari rappresenta tuttavia una vera assicurazione sulla durata se non del Governo, senz’altro della legislatura.
“La riduzione del numero dei deputati e dei senatori comporta, di fatto, un innalzamento della soglia d’ingresso in Parlamento” evidenzia infatti un politico Dc di lungo corso con una esperienza di sei legislature come Pino Pisicchio, più volte Sottosegretario e Presidente di Commissione, e attualmente Docente di Diritto Pubblico Comparato, giornalista professionista ed editorialista.

- Cioè, che impatto elettorale comporta il taglio dei parlamentari?
Un impatto che prescinde dallo sbarramento “formale”. L’entità dell’aumento varia secondo le formule elettorali adottate, ma non andremmo troppo lontani dal vero se dicessimo che in ambiente proporzionalistico si possano raggiungere soglie effettive molto alte, attorno addirittura all’8%, anche se la soglia legale dovesse restare intorno al 3-5%. È un fenomeno che ben conoscono gli spagnoli, dove, a fronte di uno sbarramento formale del 3% la soglia implicita va dal 6 al 9% a causa di collegi elettorali piccoli che eleggono un numero di parlamentari relativamente basso. Ecco: in Italia capiterebbe una cosa del genere.
- Fra le forze politiche chi al momento potrebbe essere più avvantaggiata?
Basta dare un’occhiata ai sondaggi: Lega, innanzitutto, poi PD, probabilmente Fratelli d’Italia e poi, secondo me con difficoltà, anche il M5S. Ma con molta difficoltà perché a mio parere il Movimento Cinque Stelle è molto più vicino alla performance dell’Umbria di qualche settimana fa piuttosto che al risultato, peraltro non smagliante, delle ultime Europee.
- Che possibilità ha l’attuale Parlamento di approvare una nuova legge elettorale?
È una bella domanda. Proclami maggioritaristici e contesti proporzionalistici si fronteggiano digrignando i denti e lasciano presagire piuttosto che un andare spedito un impasse. Veda: non è un paese sano quello che in soli 25 anni cambia 5 sistemi elettorali per eleggere la sua rappresentanza parlamentare. Se pensiamo che gli USA adottarono il sistema con cui votano alla fine del ‘700, gli inglesi ancor prima e tutti i maggiori paesi europei di solida democrazia votano ancora col sistema adottato nel secondo dopoguerra, salvo la Francia che però fece la sua riforma elettorale con De Gaulle nei primi anni 50 e la Spagna che adottò l’attuale sistema proporzionale dopo la caduta di Franco, noi italiani siamo un caso patologico. Sa qual è il nostro guaio? Chi ha la maggioranza pensa di risolvere i suoi problemi di consenso “aggiustando” la legge elettorale. Poi, per il principio dell’eterogenesi dei fini, noto in filosofia ma evidentemente non in politica, perde invariabilmente. E al nuovo giro si ricambia la legge elettorale. Questa forsennata giravolta di sistemi è in se un fattore di instabilità politica.
- E’ ipotizzabile che i partiti possano fare marcia indietro rispetto all’entità della riduzione dei Parlamentari?
No. In modo catatonico e, direi, con grave inconsapevolezza, hanno fatto il patatrac irreversibile. Solo il popolo sovrano potrebbe cambiare le cose se si andasse al referendum e vincessero i no. Ma prima bisogna indirlo il referendum e per farlo occorre che un quinto di deputati o senatori, 500.000 cittadini o cinque consigli regionali ne facciano richiesta entro il 12 gennaio. Per quel che ne so non ci sono regioni attive su questo fronte, ne’ si vedono cittadini agitarsi per la raccolta delle firme e, sul piano dei parlamentari, solo i senatori hanno fatto qualcosa, sottoscrivendo la richiesta di referendum in un numero vicino ai 50. Ne occorrono 65 e sarebbero, dunque, sulla buona strada. Domanda: ma è così difficile per i parlamentari chiedere il confronto col popolo per una faccenda così centrale per la rappresentanza democratica, faccenda che, peraltro, secondo i medesimi parlamentari, sarebbe particolarmente gradita dai cittadini?