Il caso Moro e la prima Repubblica
Non uccidete ancora Aldo Moro. Non seppellitelo nell’archivio dei misteri inconfessabili della prima Repubblica. A 40 anni dal martirio, la lezione politica del Presidente della Dc è attualissima come non mai.
Risalire alla verità fino adesso taciuta della strage di via Fani, dove vennero trucidati gli agenti di scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino, e dei 55 successivi giorni del sequestro che culminò con l’esecuzione dello statista, rappresenta un’ulteriore inconfutabile prova della saldezza dei principi democratici e della credibilità dello Stato di diritto.
La Repubblica Italiana è attualmente profondamente diversa da quella che nel 1978 era ancora caratterizzata, anche se assolutamente non ufficialmente, da una governance sotto tutela fin dall’armistizio di Cassibile. Uno Stato praticamente ancora non completamente dispiegato.
A quaranta anni di distanza, la Repubblica Italiana interpreta ora pienamente e autenticamente i principi costituzionali ed è in grado di far luce fino in fondo sul terribile contesto degli anni di piombo: dall’omicidio di Aldo Moro all’assassinio del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, che di Moro era l’erede e il continuatore. Da Portella delle Ginestre all’assassinio del Segretario del Pci siciliano Pio La torre. Dal terrorismo agli apparati deviati.
E’ profondamente mutato anche il contesto internazionale, al quale si riferiscono esplicitamente le considerazioni finali delle 273 pagine della relazione conclusiva della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, Presieduta dall’On. Giuseppe Fioroni:
“Alla luce delle indagini compiute il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non appaiono affatto come una pagina puramente interna dell’eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale. Al di là dell’accertamento materiale dei nomi e dei ruoli dei brigatisti impegnati nell’azione di fuoco di via Fani e poi nel sequestro e nell’omicidio di Moro, emerge infatti un più vasto tessuto di forze che, a seconda dei casi, operarono per una conclusione felice o tragica del sequestro, talora interagendo direttamente con i brigatisti, più spesso condizionando la dinamica degli eventi, anche grazie alla presenza di molteplici aree grigie, permeabili alle influenze più diverse… Un altro elemento che si evidenzia con chiarezza è che non si intravede una regia unica tra i protagonisti attivi o omissivi della vicenda Moro. Emerge, al contrario, come si sia innestata sull’operazione militare delle Brigate rosse l’azione di una pluralità di soggetti, che per ragioni diverse, influirono sulla gestione e tragica conclusione della vicenda.
In questo ambito può collocarsi certo la presenza di persone legate alla P2 in diversi ambiti istituzionali, dai Comitati di crisi istituiti presso il Ministero dell’interno, ai vertici dei Servizi e della Forze di Polizia, alla Magistratura, come pure l’evidente permanere, all’interno degli apparati, di appartenenti a strutture che in alcuni casi, come evidenziato dal lavoro delle Commissione Stragi, rispondevano a plurime fedeltà.
……Dentro tale sfondo si collocano anche le infiltrazioni nelle Brigate rosse che si verificarono sin dai primi anni ’70 e che sono state pure documentate dalle indagini. Ancora più importante è il riconoscimento del ruolo di quell’area grigia e invisibile costituita dai rapporti fra varie entità, anche criminali o terroristiche, e i vari servizi segreti.
In questo ambito una delle principali acquisizioni è giunta dagli approfondimenti sulla dimensione mediterranea della vicenda Moro, con particolare riferimento agli accordi politici e di intelligence che fondavano la politica italiana, in particolare nei riguardi del Medio Oriente, della Libia e della questioneisraelo-palestinese. Gli approfondimenti sul ruolo dei movimenti palestinesi e del centro SISMI di Beirut hanno consentito di gettare nuova luce sulla vicenda delle trattative per una liberazione di Moro e sul tema dei canali di comunicazione con i brigatisti, ma anche di cogliere i condizionamenti che poterono derivare dalla collocazione internazionale del nostro Paese e dal suo essere crocevia di traffici di armi con il Medio Oriente, spesso tollerati per ragioni geopolitiche e di sicurezza nazionale…..”.
La verità sul delitto Moro è dunque già evidente su uno sfondo storico che attende soltanto di essere illuminato dalla luce della giustizia. Una luce di verità e giustizia essenziale per riscrivere la storia dei primi 70 anni di una Repubblica Italiana in pace con se stessa.