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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
La visione del mondo da parte della mafia è, come ogni altra, costituita da una serie di tasselli, tra cui: obbedienza assoluta ai capi, familismo amorale, sciovinismo campanilistico, maschilismo paternalistico, esaltazione dell’omertà, enfatizzazione dell’onore, svalutazione del lavoro, tendenza al dogmatismo, propensione al fondamentalismo, violenza come linguaggio, valorizzazione del sadismo, individualismo a-politico, robinhoodismo ideologico, sottovalutazione della vita terrena.
Questa visione del mondo non viene insegnata a livello puramente teorico, intellettuale, cognitivo: la pedagogia mafiosa é “integrale”, mira a formare «tutto l’uomo». Inoltre é “territoriale” perché destinatari sono non solo i minori, ma tutti i cittadini di un territorio; infine é “contestuale” perché non si accontenta di condizionare settorialmente, bensì tocca trasversalmente tutti gli aspetti della vita quotidiana e tutti i momenti della vicenda storica.
Se un’associazione criminale può considerarsi di tipo mafioso quando persegue arricchimenti illeciti e posizioni di dominio mediante seduzione e violenza, può essere istruttivo tematizzare l’elemento, per così dire, della seduzione.
Differentemente dalle narrazioni prevalenti, il mafioso spesso non si accosta a un soggetto con modi minacciosi; al contrario, inizia a corteggiare offrendo servizi (ad esempio protezione), prestiti in denaro, raccomandazioni utili a salire i gradini della scala sociale o in alcuni casi avanzando proposte chiaramente corruttive.
Solo se il soggetto “avvicinato” si mostra restìo all’adescamento, il mafioso può decidere di passare all’intimidazione: di sostituire la carota con il bastone.
L’esperienza ci dice che le cosche riescono a coinvolgere, a titolo di supporter e complici, un consistente numero di cittadini di varie età e fasce sociali: il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta riteneva che un quinto circa dei 5 milioni di siciliani fosse più o meno stabilmente irretito nel sistema mafioso.
Questa strategia di coinvolgimento sarebbe possibile senza la proposta di condividere, insieme a opportunità di carriera e di arricchimento illecito, anche un “codice culturale” (Umberto Santino)? O la persistenza del fenomeno mafioso (almeno dall’Unità d’Italia a oggi) è comprensibile solo se si ammette che le organizzazioni di tipo mafioso sono state e sono anche agenzie pedagogiche (in senso ampio, dunque efficaci nei riguardi degli abitanti di un territorio di ogni età)? Insomma: la mafia é mafia – e non mera criminalità episodica – perché trasmette di generazione in generazione una visione-del-mondo e lo fa in maniera persuasiva e pervasiva.
Se queste sommarie analisi sono realistiche, una pedagogia democratica, alternativa alla pedagogia mafiosa, dovrebbe ribaltarne i contenuti pur all’interno della medesima impostazione.
Ribaltarne i contenuti, i tasselli: proponendo il senso critico, la solidarietà ‘larga’, l’ethos del lavoro ben fatto, il gusto dell’impegno politico, la passione per la bellezza naturale e artistica, l’eroicità della nonviolenza…
Ma all’interno della stessa impostazione: dunque attivando strategie educative che – a imitazione della pedagogia mafiosa – siano altrettanto integrali, altrettanto territoriali, altrettanto contestuali.
Non si tratta di criteri facili a attuare. Solo che, accontentandosi di meno, si rischia di indebolire la mafia come soggetto militare, politico ed economico, ma di lasciarle la perfida egemonia come soggetto pseudo pedagogico-culturale.