by Adriana Piancastelli
Da tempo ormai la Cina ha smesso di essere un laboratorio di mano d’opera a basso costo per europei interessati a moltiplicare profitti, o di configurare un serbatoio sconfinato di materiali di assemblaggio per creare prodotti finiti di ogni genere immessi sul mercato con brand e pretesti di originalità ed esclusività.
È la Cina, invece, ad aver deciso che investire in Europa può incrementare l’espansionismo trasversale diversificando acquisizioni e cointeressenze per inglobare tecnologie, marchi e – in qualche caso – forme imprenditoriali.
L’ azione del “Global going”cinese mira soprattutto al consolidamento e alla divulgazione internazionale dello yuan ed alla trasversalizzazione all over the world delle aree di investimento.
La metodologia usata per la cinesizzazione europea in chiave anti russa ed anti americana, ricorda molto lo stile presente nelle aree africane, sia pur in maniera più soft, offrendo finanziamenti e creazioni di strutture ed infrastrutture, acquisizione di locations strategiche per gli snodi commerciali, aperture di banche e centri finanziari per facilitare scambi cinesi su piazze estere, rilevazioni di quote di debiti nazionali e facilitazione di corridoi per i flussi migratori regolari cinesi.
L’interesse primario è l’accesso costante e multi focale insieme alla moltiplicazione capillare delle aree di sbocco sul Mediterraneo.
Il brand della Via della Seta ha un suono dal fascino lontano e romantico,ma dal significato pragmatico e pregnante: yuan e potere.
Pechino rinforza la presenza in Turchia, triplicando gli accordi finanziari e di cooperazione nei settori dei trasporti, delle energie e delle infrastrutture, progettando linee ferroviarie ad Alta Velocità tra le due capitali e siglando intese in grado di operare sinergie finanziarie in modo che Bank of China possa agevolare l’imprenditoria cinese in territorio turco.
La strategia della realizzazione di una rete che consenta accessi diretti in Europa ha spinto la China Ocean Shipping Company ad ottenere concessioni sul porto del Pireo ( 35 anni dal 2009) ed interessi a Salonicco e Igoumenitsa, investimenti miliardari in Grecia nel turismo e nelle telecomunicazioni, con una costante presenza COSCO sulle banchine dei porti di Napoli e dell’Italia in genere.
L’area Balcanica intera è oggetto di investimenti continui per l’ammodernamento di centrali elettriche (Belgrado) e termoelettriche ( Bosnia-Erzegovina) mentre la Exim Bank, di proprietà del governo cinese, eroga finanziamenti e prestiti a tassi agevolati per l’acquisto di impianti ovviamente Made in China.
La potenza delle banche cinesi, libere dai vincoli OCSE, ha interesse ad un euro stabile da quando le riserve denominate in euro sono ormai abbastanza vicine a quelle in dollari.
Il disegno romantico che avvicini ulteriormente l’Europa alla nuova Via della Seta è rinforzato da due spinte pragmatiche fondamentali per Pechino: il riconoscimento dello status di economia di mercato rinforzando la forza della valuta cinese e la rimozione dell’embargo del 1989 sulla vendita di armi.
Nell’Europa allargata ad Est, in cui convivono Stati ancora in qualche misura soggiogati dalle ombre russe, la Cina è intervenuta strategicamente ovunque, soprattutto in Romania, in Polonia, in Bulgaria e , molto, in Ungheria.
Le firme del Memorandum of Understanding sulla Belt and Road Initiative c inese, pur non avendo valore di accordi internazionali, ( l’Italia, unico Paese del G7 a firmare, ha aderito nel marzo 2019) coinvolgono sedici stati europei in un format che prevede quanto meno intese in grado di realizzare nel tempo gli obiettivi più ambiziosi del governo cinese.

Attualmente l’Ungheria, area strategica di eccellenza per Pechino, vanta una comunità cinese (stime ufficiose) reale, intorno alle ventimila persone che – pur costituendo secondo lo stile orientale – una comunità parallela, non vivono soltanto in una Chinatown, ma sono inserite in contesti urbani diffusi generando diversificazioni progettuali con uno scopo comune, un vero e proprio coro con timbri vocali diversi nel rispetto della resa ultima.
I cinesi si sono radicati a Budapest nel 1989, quando per facilitare le relazioni vantaggiose tra i due Stati, il Governo ungherese decise di non adempiere alle formalità necessarie del visto di entrata e, dopo Tienanmen e il tramonto del regime comunista locale, migliaia di cinesi attraversarono la Russia per vendere merci a basso costo in un territorio sostanzialmente vergine e stupito dall’abbondanza straordinaria degli articoli.
Tra il 1989 ed il 1992 – anno in cui venne reintrodotto il sistema del visto – l’Ungheria si è trovata ad ospitare lavoratori dell’Estremo Oriente determinati a realizzare i propri commerci con l’ obiettivo costante di costruire ponti verso il mediterraneo impegnando materiali cinesi e realizzando infrastrutture utilizzate anche dalla popolazione locale proiettate verso un futuro europeo.
Negli anni è cambiato il genere di migrazione : ufficialmente si attesta a più di diecimila persone ( non sono comprese ovviamente le seconde generazioni, in gergo, “banane”- gialle fuori, bianche dentro) molte delle quali uomini di affari molto ricchi, titolari di appartamenti, aziende ed edifici nel centro storico di Budapest per i quali Orban ha emesso uno speciale titolo di Stato ( costo tra i 250 mila ed i 300 mila euro) operante come un vero e proprio voucher, un permesso di soggiorno acquistabile sostanzialmente per garantirsi l’ingresso in area Schengen.
