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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Sul clima il conto alla rovescia è all’epilogo. “Il tempo per fermare il riscaldamento globale sta scadendo”: così, parola più parola meno, titolano in queste ore i più diffusi quotidiani occidentali. E’ la sintesi allarmistica di ecologisti e ambientalisti ? No. Si tratta, invece, del succo del primo volume del VI Rapporto di Valutazione del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici istituito dall’ONU. Un volume che non lascia dubbi sulla necessità di agire subito per ridurre le emissioni: “Sono i dati più accurati di sempre e indicano che è colpa delle attività umane”.
Quali attività? In Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi (Guanda, Milano 2019) – uno di quei testi che dovrebbero essere assolutamente letti da cittadini mediamente evoluti – l’autore, Jonathan Safran Foer, riferisce due cifre (illustrando alcune ragioni della differenza): per la Fao gli allevamenti di bestiame inciderebbero per il 14,5 % , per il Worldwatch Institute , invece, per “almeno” il “51 percento delle emissioni annuali di gas serra a livello globale” (p. 253).
Al di là dei dettagli tecnici, resta indubitabile una verità: dall’era industriale in poi (diciamo da tre secoli a oggi) si è rotto un equilibrio plurimillenario fra gli esseri umani cacciatori e allevatori, da una parte, e gli altri animali, dall’altra. Tale rottura implica, nell’immediato, sofferenze inenarrabili per esseri viventi e senzienti che vengono concepiti, partoriti e allevati in condizioni di schiavitù totale solo per essere macellati e consumati (da una parte privilegiata degli abitanti del pianeta); in prospettiva, sempre più incombente, implica letteralmente il suicidio dell’umanità. Sul primo aspetto della questione Foer ha scritto l’efficacissimo Se niente importa. Perché mangiamo gli animali (Guanda, Milano 2010), libro che ha aiutato molti di noi a concretizzare in maniera meno generica l’intento di privilegiare nettamente l’alimentazione vegetariana e vegana rispetto al consumo (oltre tutto dannoso per la salute) delle carni.
In questo nuovo testo egli si sofferma, invece, sulla seconda questione: una crisi ambientale destinata ad acuire le lotte intestine fra i mortali e ad accelerare l’estinzione della razza umana. Rinunzio a sintetizzare la ricchezza dei contenuti, ma non ad avanzare due considerazioni. Innanzitutto l’autore non si limita alla diagnosi dei mali, ma si sbilancia a suggerire delle terapie. Inoltre questa pars construens non viene delineata con toni retorici, esagerati, fondamentalistici: Foer infatti confessa quanto sia già per lui difficile impegnarsi – personalmente e quotidianamente – per evitare una tragedia che probabilmente colpirà i suoi figli e i figli dei suoi figli più che se stesso. Propone, dunque, una strategia minimale (anche se, già in queste dimensioni, ardua da perseguire): se non si riesce a eliminare del tutto il consumo (e lo spreco!) di prodotti di origine animale, che ci si proponga di ricorrervi solo nell’ultimo pasto della giornata (a “cena”).
Mangiare carne, uova, latte, formaggi anche ogni giorno – ma non dall’alba al tramonto, non tre o quattro o cinque volte al giorno – dimezzerebbe la necessità degli allevamenti intensivi e, di conseguenza, ridurrebbe notevolmente i gas serra.
L’autore di questo libro (a mio parere meno riuscito del precedente Se niente importa: evitare alcune divagazioni da letterato probabilmente avrebbe reso il messaggio più diretto e incisivo) conosce l’obiezione che sentiamo ripetere in giro e che per primi poniamo a noi stessi: che cambia se tu, uno dei sette miliardi di abitanti del pianeta, modifiche le tue abitudini alimentari? La conosce, ma vi risponde pertinentemente: “Quando serve un cambiamento radicale, molti sostengono che sia impossibile indurlo attraverso azioni individuali, per cui è inutile provarci. E’ vero invece l’esatto contrario: l’impotenza dell’azione individuale è la ragione per cui tutti devono provarci” (p. 62).