Parole, volti, gesti. Il dramma di un Paese con un Governo in caduta libera e ostaggio di una crisi politica concentrica, si riflette nell’effetto dirompente e nel retrogusto criptato delle affermazioni, degli atteggiamenti e dei gesti del Premier Giuseppe Conte, del leader della Lega Matteo Salvini e del Vice Premier e tre volte Ministro Luigi Di Maio.
Le parole pacate, ma affilate come bisturi di Conte trafiggono le ambizioni di Salvini. La faccia contrita e lo sguardo perso nel vuoto di Di Maio rivelano più di una consulenza psichica, mentre i continui movimenti e gli ammiccamenti del Ministro dell’Interno evidenziano disagio e insicurezza.
La rappresentazione del marasma politico si materializza fin dall’avvio dell’intervento al Senato del Presidente del Consiglio. Giunto in aula quando già i banchi del governo sono occupati da Di Maio e dai Ministri del Movimento 5 Stelle, Salvini reclama, fa alzare un ministro grillino e prende posto accanto al Presidente del Consiglio, mentre tutti i Ministri leghisti si schierano all’impiedi dietro i banchi dell’Esecutivo.
Il dramma sulla pelle del Paese dell’ harakiri della maggioranza giallo verde assume inizialmente l’aspetto paradossale di un Governo che si presenta compatto davanti al Parlamento come se stesse per chiedere la fiducia e invece si sta rovinosamente dimettendo.
Se aveva intenti provocatori, la scenografia è stata comunque ignorata da Conte, che all’arrivo non ha fatto una piega, ha salutato tutti con l’aplomb di un Premier di sua Maestà Britannica e serafico ha iniziato a tracciare il positivo bilancio di 14 mesi di Presidenza del Consiglio e a scagliare con glaciale, ma micidiale determinazione accuse nei confronti di Salvini, chiamandolo alternativamente Matteo o Ministro dell’Interno. I capi d’accusa più gravi riguardano l’irresponsabilità di esporre l’Italia a una crisi economica e finanziaria, di mettere a rischio l’interesse nazionale e delle istituzioni, l’ostinazione a non voler chiarire il cosiddetto Russia gate, il perseguimento di interessi politici personali, il vulnus alla laicità dello Stato determinato dal ricorso a simboli religiosi.
Accuse pesanti e destinate ad innescare polemiche e veleni, alle quali Salvini ha replicato solo in parte, facendo ricorso alla retorica e giustificando lo show down dell’apertura della crisi col Parlamento già in ferie con gli inciuci in corso fra 5Stelle e sinistre, a partire dalle elezioni di Ursula von der Leyen e Davide Sassoli al vertice della Commissione e del Parlamento Europei, per un cambio di maggioranza a settembre.
Senza il caratteristico perenne sorriso da enfant prodige, Luigi Di Maio ha seguito, mesto e compunto le mazzate di Conte a Salvini e il tentativo di buttarla in caciara dell’ormai ex Ministro dell’Interno. Si percepiva che a un certo punto lo sguardo perso nel vuoto dei ricordi dei giorni di gloria del giuramento da Ministro e dei primi euforici Consigli dei Ministri, si era infranto proprio sul termine ex e sull’incertezza del futuro politico.
L’impressione è che a Di Maio, Salvini e Conte nel corso dell’evoluzione di una crisi che rischia di essere molto più drammatica dell’epilogo parlamentare di Palazzo Madama, sarà ripetuta più volte una specifica frase dell’ambientalista Rinaldo Sidoli: “Non sarete giudicati per quello che avete fatto, ma per quello che avreste dovuto fare e non avete fatto per il vostro Paese.”