“Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”: nei secoli la medicina ha aggiornato e capovolto la famosa definizione di Blaise Pascal, aggiungendo alla concezione filosofica l’esponenziale sviluppo scientifico della ricerca cardiovascolare.
Una dimensione con prospettive scientifiche sempre più avanzate, delineate alla vigilia della recente Giornata Mondiale del cuore in un convegno internazionale promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Lo evidenzia la disamina affidata al Professor Filippo Crea, Ordinario di Cardiologia del Sacro Cuore, direttore dell’unità operativa complessa Cardiologia del Policlinico Agostino Gemelli di Roma, nonché editor in chief di European Heart Journal una delle riviste scientifiche di cardiologia più prestigiose del mondo.
Per il Prof. Crea, nei prossimi anni la ‘medicina stratificata’, cioè incentrata su una specifica diagnosi, si affermerà e andrà a complementare quella personalizzata sul profilo dettagliato del peziente. Arriveranno – anticipa Crea – nuovi farmaci basati sull’RNA, le molecole biologiche presenti nelle nostre cellule e che sono coinvolte nella “gestione” del nostro patrimonio genetico, e l’intelligenza artificiale sarà sempre più pervasiva, ma anche più trasparente e aiuterà a predire non solo ‘chi’ é a rischio infarto o aritmie, ma anche ‘quando’ questo accadrà, grazie ai nuovi score, calcolatori, di rischio che includeranno big data e ‘omiche’, le discipline che utilizzano tecnologie di analisi che consentono la moltiplicazione esponenziale di dati biologici.
Molto importante è l’espansione dell’orizzonte della prevenzione primaria, andando ad individuare nuovi fattori di rischio, che si aggiungono a quelli tradizionali (ipercolesterolemia, ipertensione, fumo, diabete) e che non si possono modificare a livello individuale, ma che vanno riconosciuti, in quanto impattanti sulla salute. L’attenzione di molti studi si sta concentrando ultimamente sull’inquinamento, che non è solo quello atmosferico, ma anche quello acustico e luminoso.
“L’attività fisica riduce il rischio cardiovascolare – specifica il Professor Crea – ma non se la facciamo in un ambiente inquinato; in questo caso, più si fa attività fisica, più aumenta il rischio. Anche l’eccesso di luce ‘inquina’. Uno studio fatto ad Hong Kong dimostra che l’intensità di luminosità notturna si associa ad un aumentato rischio cardiovascolare. E per quanto riguarda l’inquinamento acustico, uno studio svizzero ha dimostrato che chi vive vicino ad un aeroporto ha un rischio aumentato di eventi cardiovascolari notturni rispetto a chi vive più lontano; il rischio di infarto o ictus, matura nelle due ore successive al risveglio notturno e le donne sono più sensibili, in particolare per quanto riguarda il rischio aritmico. Uno studio recentissimo – prosegue Crea -dimostra che lo spasmo coronarico (sia microvascolare, che epicardico), un’alterazione quindi puramente funzionale, è più probabile nei pazienti esposti ad inquinamento atmosferico. E non solo. I pazienti con sindrome coronarica acuta esposti ad inquinamento atmosferico maggiore vanno incontro a rottura di placca, anziché ad erosione. Quindi l’inquinamento agisce anche sui meccanismi biologici fondamentali di malattia”.
Un altro settore che andrà sempre più sviluppato è quello degli score di rischio genetici. Lo studio Interheart, uno studio globale condotto in Canada che ha identificato 9 fattori di rischio facilmente misurabili – fumo, lipidi, ipertensione, diabete, obesità, dieta, attività fisica, consumo di alcol, e fattori psicosociali – che rappresentano la quasi totalità dei fattori di rischio per infarto miocardico acuto, ha dimostrato che il 90% degli infarti è addebitabile a fattori di rischio tradizionali (fumo, ipertensione, ecc), ma non è in grado di dire se un infarto ad esempio si manifesterà a 40 o a 90 anni, e questo fa la differenza.
“È solo lo studio della suscettibilità ai fattori di rischio – spiega il Professor Crea – che può darci un’idea più precisa di quando si verificherà un evento cardiovascolare”. E la possibilità di predire gli eventi aumenta includendo anche i genetic risk score, come ha di recente dimostrato la professoressa Jessica Mega su Lancet. La predisposizione genetica inoltre investe anche la risposta alla terapia.
“I benefici maggiori con le statine – ricorda il professor Crea – si hanno infatti nei pazienti con rischio genetico più alto. Insomma, genetica e ambiente interagiscono e ci danno informazioni che possono essere di guida alla terapia; i geni ‘caricano la pistola’ e i fattori di rischio fanno esplodere il colpo”.
A tal riguardo in un interessante editoriale di commento allo ‘SCORE2’ (l’algoritmo per il calcolo del rischio cardiovascolare, adottato dalle ultime linee guida europee sulla prevenzione), due dei maggiori esperti mondiali di malattie cardiovascolari, la Professoressa Lale Tokgozoglu ed il Prof. Christian Torp-Pedersen, scrivono che lo SCORE2 è il massimo che possiamo ottenere in termini di predittività di un evento dalle carte di rischio, ma che siamo ancora lontani dalla possibilità di ottenere una stratificazione personalizzata.
“Per arrivare a questo – commenta il professor Crea – sarà necessario combinare le ‘omiche’ con l’intelligenza artificiale. Solo aggiungendo ai fattori di rischio tradizionali, dati sulla proteomica, sui big data, sull’imaging avanzata, sulle nuove tecnologie indossabili, l’IA può portarci a predire con grande accuratezza il rischio di incorrere in un evento cardiovascolare.
Man mano che la complessità aumenta, è necessario dunque chiamare in causa l’Intelligenza Artificiale. Una recente pubblicazione di Maarten van Smeden, uno dei maggiori esperti europei in intelligenza artificiale applicata al cardiovascolare, fornisce una specie di ‘breviario’ su come interpretare gli studi sull’IA valutando la concettualizzazione, la raccolta dei dati, i fattori predittivi, la trasparenza e naturalmente la validazione.
“Uno studio cinese- ricorda il professor Crea – dimostra che dall’analisi del volto si può risalire alla presenza di stenosi coronariche, attraverso un algoritmo di valutazione della faccia, risultato superiore come capacità predittiva ai tradizionali score clinici di rischio. Un’ ulteriore studio del gruppo di Friedman (della Mayo Clinic) dimostra come la lettura mediante IA di un elettrocardiogramma predice la presenza di disfunzione ventricolare con grande precisione, anche nei pazienti con funzione ventricolare ancora del tutto normale all’ecocardiogramma. E un altro lavoro della Mayo Clinic dimostra come l’IA può individuare i pazienti affetti da fibrillazione atriale parossistica, analizzando il loro ritmo sinusale.
Scenari scientifici in rapida evoluzione da utilizzare tuttavia senza mai dimenticare il ruolo fondamentale dell’intelligenza ‘umana”, sottolinea il Prof. Filippo Crea.
Fonte: Agenzia Italpress