Dalla via della seta alla scorciatoia del petrolio e dei petroyuan. Le crescenti tensioni nei rapporti fra Washington e Riad hanno rilanciato le offerte che la Cina propone da anni all’Arabia Saudita per un accordo sul pagamento del petrolio non in dollari, ma in yuan la valuta di Pechino.
In concomitanza con la guerra scatenata da Putin all’Ucraina e dell’escamotage tentato da Mosca di ricorrere allo yuan per aggirare l’azzeramento del rublo, la Cina ritiene che sia arrivato il momento per tentare l’abbandono epocale della valuta statunitense da sempre utilizzata come moneta ufficiale per il mercato petrolifero globale.
Sarebbe l’alleanza tra il maggior importatore di petrolio, la Cina, che acquista il 25% dell’intera produzione saudita, con il più grande esportatore, l’Arabia Saudita e con il conseguente passaggio dai petrodollari ai petroyuan.
Secondo il Wall Street Journal, che ha rilanciato la notizia delle trattative in corso fra Pechino e Riad, un accordo in tal senso, ritenuto tuttavia irrealizzabile dagli economisti e soprattutto dai mercati, condizionerebbe pesantemente il dominio del dollaro Usa non soltanto sul mercato petrolifero, ma come valuta di riferimento negli scambi internazionali.
“La Cina sta offrendo a Riad di tutto e di più “ ha rivelato un funzionario saudita al principale quotidiano finanziario americano. Per il Prof. Davide Tabarelli, presidente di NE-Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia e l’ambiente, intervistato dall’Agenzia Italia, “l’ipotesi è plausibile, ma non sarebbe una rivoluzione. Di questi tentativi ne abbiamo visti anche in passato. Con la Russia che voleva vendere in rubli e con l’Arabia Saudita che voleva vendere in moneta locale o con alcuni paesi europei. Ma è praticamente impossibile. Solo tra Cina e Arabia Saudita potrebbe essere fattibile, ma questo non intaccherà un sistema petrolifero globale dominato dal dollaro”. Cioè l’Arabia Saudita può farsi pagare il yuan cinesi, ma si accollerà l’onere di convertirli in altre valute.
Il ritorno alla carica della Cina sul miraggio dei petroyuan coincide con l’inedito scontro diplomatico e militare fra il regno saudita e gli Stati Uniti.
Riad non ha digerito il mancato sostegno nella terribile guerra civile in Yemen ed il tentativo dell’amministrazione Biden di concludere un nuovo accordo con l’Iran sul programma nucleare. Meno ancora è piaciuto ai sauditi il precipitoso ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e soprattutto la ferma condanna del massacro del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018. Un terribile delitto che, secondo l’intelligence Usa ed Inglese, sarebbe stato personalmente ordinato dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Accusa che recentemente ha provocato il rifiuto del futuro sovrano saudita di rispondere ad una telefonata del Presidente Biden.
Il corto circuito con Washington sta determinando uno sconvolgimento nei tradizionali rapporti diplomatici, a cominciare – rivela il Wsj- dall’invito per una visita ufficiale in Arabia Saudita rivolto al Presidente cinese Xi Jinping.
Sul piatto della bilancia i cinesi hanno posto anche consistenti aiuti militari, aiutando per esempio Riad a realizzare i propri missili balistici, cooperando col programma nucleare e investendo nei progetti avveniristici del principe Mohammed bin Salman, come la città futuristica di Neom.
I sauditi stanno anche considerando la possibilità di avere contratti future in yuan nella strategia di pricing, ovvero nella definizione dei prezzi, del colosso oil&gas Saudi Aramco.
A spingere la Cina è anche l’esigenza di bilanciare il rischio dell’uso esclusivo di dollari, determinato dalle sanzioni statunitensi e occidentali alla Russia per l’invasione dell’Ucraina ed all’Iran per la ripresa del programma nucleare.
Sul piano internazionale tuttavia gli economisti e gli stessi consiglieri del principe ereditario saudita insistono nel sottolineare come il cambio quotidiano di milioni di dollari in yuan danneggerebbe l’economia di Riad, che ha una valuta, il riyal, ancorata al dollaro. E rappresenterebbe una mina per le entrate saudite legate ai Treasury statunitensi e alla disponibilità limitata dello yuan al di fuori della Cina.
Vendere petrolio in una valuta meno stabile potrebbe inoltre compromettere le prospettive fiscali del governo saudita. La valuta cinese è ritenuta inaffidabile e incontrollabile dai mercati perché viene stampata illimitatamente dal regime comunista senza alcun ancoraggio di riferimento alla parità aurea, al debito pubblico ed al Pil nazionale.
Il rapporto bilanciato fra dollaro materie prime, bilancia commerciale e Pil Usa, e per estensione con l’intero mercato globale delle materie prime, rappresenta in altri termini la polizza assicurativa dello status del dollaro come valuta di riserva.
Secondo l’economista Gal Luft, co-direttore dell’Istituto per l’analisi della sicurezza globale con sede a Washington, “se questa polizza viene rimossa dal muro economico mondiale, il muro inizierà a crollare”.
All’insegna del mitico “In God we trust” il dio dollaro insomma sembra destinato a vegliare ancora a lungo sulle sorti economiche dell’umanità.
Fonte: Agi