Ombre russe e sindromi cinesi. Alla vigilia della fiducia, il Governo Conte muove i primi passi fra un crescendo di tensioni internazionali e di fibrillazioni politiche interne.
Al di là del feeling, la telefonata fra la Casa Bianca e Palazzo Chigi lascia intravedere un concreto understanding, un’intesa dettagliata, fra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Premier Giuseppe Conte in merito alla revisione dei rapporti del precedente Governo con Mosca e Pechino che avevano allarmato Washington.
Inquietudini accresciute dalle calorose accoglienze a Roma di Xi Jinping e Vladimir Putin ed in particolare per gli accordi strategici con la Cina riguardanti le reti 5G e la cosiddetta via della Seta.
Ad impensierire Palazzo Chigi, al fronte giallo si aggiunge quello russo. L’arresto della superspia di Mosca, Alexander Korshunov bloccato a Napoli su richiesta dell’intelligence Usa ha provocato l’intervento diretto del Presidente Putin. E’ la conferma che il Cremlino, già piccato per l’estromissione dal Governo della Lega, considerata un’alleata, vede allontanarsi definitivamente la prospettiva di potere contare sull’Italia in chiave antiamericana e antieuropea.
Le tensioni internazionali sono tuttavia ricollegabili anche a due iniziative politiche di Luigi Di Maio, che fanno temere quanto meno un iniziale percorso ad ostacoli per l’esecutivo.
Come ha stigmatizzato lo spesso Premier, la riunione alla Farnesina di tutti i ministri del Movimento 5 Stelle presieduta dal Ministro degli Esteri, rappresenta di fatto una messa in mora preventiva del Presidente del Consiglio e dei Ministri del Pd e di Liberi e Uguali.
Ancora più contraddittoria, a prescindere dall’induscusso valore professionale della persona, è la nomina a tempo di record dell’Ambasciatore a Pechino Ettore Sequi a Capo di Gabinetto del Ministero degli Esteri. Nomina che lascerebbe intuire la scelta dell’ex vice Premier di proseguire lungo la rotta degli accordi commerciali con la Cina, a cominciare dallo sviluppo delle infrastrutture 5G con Huawei.
Una rotta quindi che, a meno di precisazioni e assicurazioni in sede di dibattito sulla fiducia, si prospetterebbe quanto meno alternativa rispetto al netto riallineamento atlantico assicurato da Conte a Trump.
A Palazzo Chigi e al Nazareno, per non parlare di altri palazzi istituzionali e degli stessi ambienti grillini, ci si chiede dove voglia andare a parare Di Maio.
Per la risposta bisognerà vedere come si svilupperà il dibattito sulla fiducia, in particolare al Senato, e su quanto il Premier insisterà, nelle dichiarazioni programmatiche, sui temi più sensibili attinenti le tensioni internazionali e le fibrillazioni interne: sviluppo, infrastrutture e sburocratizzazione nel segno dell’innovazione, della Smart Nation e del Green New Deal.