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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Nell’immaginario collettivo la filosofia si interroga solo a partire da fenomeni grandiosi, di portata universale o per lo meno epocale: come l’amore o la morte. Se così fosse, la quotidianità ne resterebbe quasi totalmente esclusa.
E, in effetti, così per lo più avviene: anche a eminenti cattedratici di discipline filosofiche capita di trascorrere l’intera vita senza mai interrogarsi criticamente sulla scelta del menù a tavola o del mezzo di trasporto urbano. Ci sono però filosofi – i filosofi ‘pratici’, i ‘consulenti’ filosofici o i ‘mediatori filosofici’ (sorvoliamo, per brevità, sulle differenze fra questi ruoli) – che amano il continuo rimando dal micro al macro (e ritorno): dal particolare al generale, dal dettaglio all’insieme. Il dettaglio che colpisce Gianvittorio Pisapia, nel breve ma intenso Il mediatore filosofico e l’esperienza delle mani (Cleup, Padova 2020, pp.63, euro 12,00), è il fatto che siamo animali dotati di mani: “mani che accarezzano e mani che puniscono; mani che benedicono e mani che minacciano; mani che leniscono e mani che distruggono; mani che porgono e mani che respingono; mani che offendono e mani che sostengono; mani che uniscono e mani che dividono; mani che offrono e mani che sottraggono; mani che raccolgono e mani che disperdono (Maria Giacobbe)” (p. 39). Il pensiero non può non andare alla canzone, molto bella, Le mani di Edoardo De Crescenzo.
Già illustri pensatori greci si erano interrogati su questo aspetto della nostra corporeità: “se per Aristotele la natura ha dato la mano all’uomo perché è il più intelligente degli animali, per Anassagora l’uomo è più intelligente degli altri animali perché possiede le mani” (p. 34).
Quale che sia la tesi più vera, dobbiamo riconoscere che stiamo riflettendo non su protesi accidentali, bensì su qualcosa di materialmente circoscritto che ha finito con l’invadere semanticamente sfere molto più ampie della nostra esperienza: “passare la mano, toccare con mano, prendere in mano la situazione, avere le mani in pasta, avere le mani bucate, stare con le mani in mano, lavarsene le mani, dare una mano, venire alle mani, mettere la mano sul fuoco, essere colti con le mani nel sacco, chiedere la mano al padre della fidanzata, alzare le mani su qualcuno, baciare le mani, battere le mani, stringere la mano, fare man bassa, mettersi le mani nei capelli, mettersi nelle mani di qualcuno, mordersi le mani, portare in palmo di mano, rimettere mano a qualcosa, , mettere mano al portafoglio, persona alla mano, a mano a mano, rubare a man salva, a piene ani a portata di mano, fuori mano, di prima mano” (pp. 38 – 39).
Pisapia non è un filosofo in senso canonico (insegna all’Università di Padova Criminologia clinica), ma ha voluto scrivere questo saggio per attestare che la filosofia, come la poesia, non si lascia imprigionare nelle aule scolastiche e accademiche. E come la poesia riscatta le esperienze ordinarie dal regime di banale ovvietà in cui sono solitamente relegate.