Effetto Cina? sul piano internazionale equivale ad Andersen moltiplicato per un miliardo 401.586.000 volte, il numero degli abitanti della Repubblica popolare cinese. Come dire che il regime comunista di Pechino è nudo.
Propaganda, censura e messiscene questa volta non bastano per mimetizzare o occultare un’epidemia di sindrome respiratoria acuta talmente diffusa da costringere le autorità ad imporre ai cittadini di megalopoli di 25 milioni di abitanti, come Shanghai, di uscire da casa esclusivamente per acquistare cibo ogni due giorni e ad un componente soltanto per nucleo familiare. Misure da stato di guerra. Una guerra alla verità, oltre che al diritto alla salute dei cinesi.
All’impatto sociale e sulla vivibilità, si stanno aggiungendo anche le ricadute economiche provocate dalla paralisi produttiva e dal blocco dei servizi e dei trasporti.
“Siamo pienamente fiduciosi e capaci di minimizzare l’impatto dell’epidemia sull’ economia” ha cercato di rassicurare Lian Weiliang, vice capo della Commissione Nazionale per lo Sviluppo, in una conferenza stampa a Pechino.

“Mentre l’epidemia ha messo un freno alle industrie, al sistema dei trasporti e al turismo, si è registrata una rapida crescita delle vendite online e all’alimentazione” ha sottolineato l’esponente del regime senza convincere molto, in particolare la stampa estera.
Secondo gli economisti invece il clima recessivo provocato dall’emergenza coronavirus, si estende progressivamente dai mercati finanziari a quelli delle materie prime fino al commercio reale, con una brusca frenata delle esportazioni di prodotti agroalimentari in Cina.
E’ opinione diffusa che il ridimensionamento del Pil cinese trascinerà al ribasso anche quello Usa. E’ ancora presto per calcolare l’entità dell’incidenza dell’effetto sulle altre economie, ha sostenuto il presidente della Fed, Jerome Powell, che però ha definito il coronavirs una minaccia per l’economia globale. Analisi condivisa dal Fondo Monetario internazionale che paventa, quanto meno, un rallentamento dell’economia mondiale.
Ma l’impatto dell’emergenza coronavirus sui mercati agroalimentari, secondo l’analisi della Coldiretti, colpisce in particolare l’Italia anche indirettamente come dimostra il fatto che le quotazioni della soia sono crollate per nove giorni consecutivi al Chicago Board of Trade, punto di riferimento mondiale del commercio delle materie prime agricole. La Cina infatti è la più grande consumatrice mondiale di soia, ed il prezzo della soia sul mercato futures è sceso di circa il 10% dall’inizio dell’anno sull’onda delle crescenti preoccupazioni per il calo della domanda del mercato cinese.
A pagare un conto salato rischia di essere anche il Made in Italy a tavola, con il vino che é il prodotto tricolore più esportato in Cina per un valore stimato in 140 milioni di euro nel 2019.
A frenare le spedizioni agroalimentari Made in Italy sono anche le barriere ancora presenti per le produzioni nazionali. Pur se é stato rimosso nel 2016 il bando sulle carni suine italiane, al momento per quanto riguarda la frutta fresca – evidenzia la Coldiretti – l’Italia può esportare in Cina solo kiwi e agrumi mentre sono ancora bloccate le mele e le pere oggetto di uno specifico negoziato.
Una situazione che va attentamente monitorata anche da parte dell’Unione Europea per salvaguardare settori strategici per l’Italia, come quello agroalimentare, soprattutto in un momento in cui il cibo é tornato strategico nelle relazioni internazionali, dagli accordi di libero scambio alle guerre commerciali come i dazi di Trump, la Brexit o l’embargo con la Russia.
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