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Emigrati siciliani non sempre brava gente

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Rubrica di critica recensioni anticipazioni

I cardini del pensiero Socrate Buddha Confucio Gesù

by Augusto Cavadi

Emigrati siciliani nel mondo, come dove e perché. I cadaveri in pozze di sangue suscitano sdegno verso la mafia. Sono le uniche vittime? No. L’intreccio fra mafiosi e ceti dirigenti corrotti, da più di un secolo, sta decapitando la Sicilia (e un pò tutto il Meridione italiano) dei suoi figli più intraprendenti.Emigrati siciliani non sempre brava gente

Già nella Sicilia feudale di fine Ottocento, sistemicamente ingiusta, alcuni fra i più coraggiosi si ribellano (i “Fasci siciliani”), ma soccombono: l’alleanza fra politici nazionali (che mandano l’esercito) e latifondisti siciliani (che arruolano cosche mafiose) reprime duramente i moti rivoluzionari costringendo i più dotati fra le nuove generazioni a emigrare. La Sicilia, già povera, ne risulta impoverita.

L’impoverimento aggravato suscita, lungo il Novecento, altri tentativi di rivolta (per esempio dopo la seconda guerra mondiale) che suscitano nuove feroci repressioni che suscitano nuove ondate emigratorie che impoveriscono ulteriormente la Sicilia. La ruota infernale gira sino ai nostri giorni: imprenditori che pagano in nero, docenti universitari che calpestano il criterio del merito nella cooptazione dei successori, mafiosi che falsificano le carte in ogni partita che prevederebbe regole certe, funzionari dello Stato che – per interesse o per paura – non perseguono né imprenditori evasori, né docenti corrotti, né mafiosi in servizio permanente effettivo.

Questa situazione di intollerabile ingiustizia sistemica provoca continue emorragie dei cervelli migliori; queste emorragie lasciano campo libero ai peggior arrivisti maneggioni; il regime degli arrivisti maneggioni incrementa la fuga dei migliori. Ormai il meccanismo è rodato e, quel che è peggio, si rischia di rassegnarvisi come a cicli di calamità naturali.30 libri in 30 giorni” – Presentazione “Nostra Patria è il mondo intero” | Sicilia

Queste considerazioni affiorano spontaneamente leggendo libri come Nostra patria è il mondo intero. 150 anni di emigrazione siciliana, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2021, firmato da Giuseppe Oddo e Nicola Grato, in cui la storia dell’emigrazione siciliana è letta come ambivalente esodo di minoranze criminali e di maggioranze encomiabili che hanno fatto fortuna altrove e che hanno contribuito alla fortuna degli Stati che le hanno (sia pur strumentalmente e crudelmente) accolte.

Minoranze criminali: dalla Sicilia, e in minor misura da varie regioni italiane, sbarcavano In Tunisia, in Francia e soprattutto negli Stati Uniti d’America «preti, falliti, bancarottieri, truffatori e ladri. Né capaci né desiderosi di prestare la loro opera come “scavafosse”, costoro vivevano di espedienti dettati dal proprio ingegno. Nei casi […] meno virtuosi divennero invece “padroni”, estorsori e criminali. La mano nera e la mafia furono opera loro” (pp. 54 – 55).

Maggioranze encomiabili: come accade oggi in Italia a causa delle organizzazioni mafiose albanesi o nigeriane, le punte criminali dell’iceberg gettavano ombra e discredito nella molto più consistente massa, semi-sommersa, di italiani, e anche siciliani, che erano le prime vittime dei connazionali delinquenti, dal momento che sbarcando trovavano facilmente un “boss” disposto a fungere «da mediatore fra gli immigrati disorientati e quel paese così estraneo»; da «agente di lavoro» al servizio degli «appaltatori» locali; da «mediatore politico» che «scambiava i voti dei lavoratori con posti di lavoro nelle opere pubbliche».Emigrati siciliani non sempre brava gente

Era lo stesso soggetto che «si faceva pagare a caro prezzo l’alloggio (spesso una sistemazione di fortuna nei vagoni merce o in baracche), il cibo, i vestiti, gli utensili» e talora, «divenuto depositario dei risparmi dei lavoratori, e perciò soprannominato banchista, scappava con il denaro accumulato» (p. 54). . Nonostante queste condizioni di vita inizialmente frustranti, in maggioranza gli immigrati – secondo un osservatore dei primi del Novecento – «alla frugalità nel vivere uniscono onestà, correttezza, sobrietà, e così dotati non possono fare a meno di trionfare in tutti i campi dove si esplica l’attività umana» (p. 59). La conferma: “nei casi migliori diventarono giornalisti, insegnanti, impiegati, notai, e persino pastori protestanti” (p. 55). Così, in genere, venivano tanto “apprezzati” quanto “odiati e vilipesi da altri” – come gli irlandesi – che vedevano “in essi dei concorrenti pericolosi” (p. 59).

Il libro è molto articolato e non sorvola sulle atrocità commesse dagli emigrati italiani una volta insediatisi in immensi territori “vergini” come le pampas argentine (la “conquista del desierto” comportò “lo sterminio dei nativi mapuche e theluelche”, p. 76) né, per compenso, sull’attivismo sindacale che – nelle stesse terre sudamericane – trapianta l’eredità dei Fasci siciliani (riproducendo la sinergia fra anarchici, socialisti e preti democratici).

Completa il volume una ricerca sull’emigrazione dei cittadini di Villafrati (piccolo comune della provincia di Palermo) in Svizzera, “il paese principale verso cui migravano gli italiani nel dopoguerra” (dal 1946 al 1976 “furono due milioni i connazionali partiti per la Confederazione”) (p. 145): un’area sino ai nostri giorni non proprio ospitale nei riguardi degli stranieri, ma dove non si è mai più registrata quella Italienerkrawall (“caccia all’italiano”) che frange di cittadini xenofobi praticavano nel Cantone di Zurigo all’inizio del Novecento (p. 144). Tanto è vero che non poche persone emigrate dall’isola – specie se donne partite da piccole al seguito dei genitori – hanno fermamente deciso di non ritornare in patria, avendo trovato oltre le Alpi ciò che si aspettavano: per dirlo con le parole di una di esse, “lavoro, benessere, rispetto delle regole e civiltà” (p. 150). In concreto, “le condizioni di lavoro” per una donna addetta alle pulizie di una panetteria “erano ottime perché venivano rispettati gli orari, veniva pagato anche un quarto d’ora di straordinario, si avevano tutti i diritti come ad esempio giorni festivi pagati, inoltre malattie e vacanze riconosciute in busta paga, tutte cose che in Sicilia ci sognavamo” (p. 151). E che continuiamo a sognare. Pare non solo in Sicilia.Emigrati siciliani non sempre brava gente

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Gianfranco D'Anna
Gianfranco D'Anna
Fondatore e Direttore di zerozeronews.it Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Tg1 e Rai Palermo al maxiprocesso a cosa nostra. Ha fatto parte delle redazioni di “Viaggio attorno all’uomo” di Sergio Zavoli ed “Il Fatto” di Enzo Biagi. Vincitore nel 2007 del Premio Saint Vincent di giornalismo per il programma “Pianeta Dimenticato” di Radio1.
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