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Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Augusto Cavadi
Da qualche giorno Orlando Franceschelli ha lanciato un appello per un flashmob filosofico on line suggeritogli dalla pandemia in corso (http://franceschelli.altervista.org/foto/Pandemia_Franceschelli.pdf )
Dopo aver stigmatizzato i vari “parassiti della sofferenza” che, anche in questa contingenza, non mancano di affacciarsi sulla scena pubblica per guadagnare notorietà o consensi elettorali, il noto filosofo si chiede e ci chiede: “Se proprio siamo in guerra, contro cosa dobbiamo lottare per vincerla effettivamente? Soltanto contro i virus che sulla faccia della terra ci sono da prima di noi esseri umani? O anche contro le concezioni e i comportamenti di noi ‘sapientes’che la terra la stiamo trasformando da ambiente-dimora in ambiente-incubo per un numero sempre crescente di esseri viventi? A cominciare ovviamente dagli esseri umani e dagli animali-non-umani più deboli e più poveri”.
Affinché ciò avvenga, la tradizione filosofica occidentale può offrire preziose indicazioni operative. “Da questa pandemia usciremo migliorati se – e solo se – sapremo confrontarci criticamente con la scoperta o ri-scoperta” del “dato di fatto che «possiamo scacciare la natura col forcone, essa tuttavia ritornerà sempre/ e furtivamente si insinuerà tra gli ostacoli che le si frappongono» (Orazio, Epistole, I, 10, 24-25)”.
Infatti, ammoniva all’alba della Modernità europea Baruch Spinoza, della natura noi esseri umani siamo «piccola parte», non “proprietari, dominatori, predatori”. Ma – continua Franceschelli – appartiene alla nostra specie anche la possibilità di “migliorare concezioni, comportamenti, tentativi di essere felici, per quanto è possibile, e solidali verso ogni forma di sofferenza”.
Questo appello, in quanto ‘filosofico’, può risuonare strano.
Infatti chi di noi ha incontrato la filosofia nel corso della sua formazione scolastica e universitaria – o ne ha sentito parlare da parenti e amici – molto probabilmente la concepisce come un’attività meramente cerebrale, del tutto estranea rispetto agli eventi quotidiani e riservata a poche élites interessate a spulciare i volumi più impolverati delle biblioteche. In effetti molti insegnanti così hanno appreso la filosofia, così l’hanno intesa e così la propongono a generazioni di studenti.
Tuttavia – come ci ha ricordato anche Davide Miccione nel suo intrigante Ascetica da tavolo – la filosofia non è stata da sempre storia del pensiero (pensato da altri), ma anche e soprattutto pensiero personale, originale, in stretta connessione con la vita. Ed oggi questa dimensione non-professorale, non-erudita, non-specialistica dell’attività filosofica è nuovamente riscoperta.
Tramontate le grandi religioni storiche e le grandi ideologie politiche, chi non si vuole rassegnare allo smarrimento cerca nella pratica filosofica dei punti di riferimento per orientarsi nel mondo, per acquisire un pò di saggezza, per non rinunziare a maturare dei giudizi sui processi storici in atto. Così inteso, il filosofare fiorisce in luoghi imprevisti: illustri professori di storia della filosofia potrebbero averci rinunziato da decenni, cittadini senza laurea lo coltivano ogni giorno.
Certo ci sono anche in questa prospettiva dei rischi di banalizzazione, se non addirittura di speculazione commerciale: festival dove si accorre in centinaia per bere dalle labbra di personaggi più o meno telegenici con cui non si con-filosofa in condizioni di pari dignità intellettuale (a prescindere dai titoli di studio e dai mestieri che si svolgono ordinariamente); manuali divulgativi che promettono di distribuire in pillole ciò che ognuno di noi può maturare solo nella pazienza della riflessione silenziosa e nel confronto dialogico; associazioni sedicenti filosofiche che, invece di spaziare senza pregiudizi nel vasto mondo delle domande esistenziali e sociali, si concentrano nello studio di un solo grande pensatore e per giunta secondo l’interpretazione esclusiva di un solo guru locale.
Ma fasi storiche come quella drammatica che stiamo attraversando possono fungere da implacabili cartine di tornasole per discernere la filosofia come chiacchiera mondana e salottiera dalla filosofia come atteggiamento meditativo e critico.
In questi giorni si sente ripetere ossessivamente la domanda su come cambierà in mondo – ammesso che cambierà – dopo questa pandemia.
Confesso che la domanda non mi appassiona.
So che cambierà se e come sta cambiando già da adesso: se adesso stiamo trasformando il nostro rapporto con il tempo, con i consumi, con gli affetti, con il denaro, con la malattia, con la morte, con l’arte, con la politica…
Sono convinto che nessuna esperienza individuale o collettiva potrà domani mutare la nostra sensibilità ecologica o la nostra solidarietà alle vittime delle guerre, delle carestie e delle migrazioni forzate se, oggi, non stiamo operando in maniera più consapevole e più incisiva di ieri.
La filosofia autentica ci libera almeno da questo: l’illusione che basta desiderare un mondo alternativo, anche se non muoviamo né un neurone per progettarlo né un dito per realizzarlo.
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