Assessori regionali siciliani che vanno, assessori che vengono: uno ogni 45 giorni, 48 in 60 mesi. Sulla valanga di critiche e polemiche che sta suscitando il conto alla rovescia della Giunta Crocetta e in particolare il paradossale piano della mobilità appena varato, pubblichiano l’articolo firmato su La Sicilia dall’editorialista Gianfranco D’Anna
Siciliani a piedi. Turisti a casa. L’ultima disastrosa eredità di Crocetta riguarda i trasporti: il nuovo piano per la mobilità prevede semplicemente la fine di tutti i collegamenti pubblici su gomma superiori a 50 chilometri.
Corse di autobus fra città, centri provinciali e località turistiche dunque addio! Incredibile, ma purtroppo vero. Mentre l’attenzione dei media era tutta concentrata sulle candidature regionali, il 30 giugno il Governo Crocetta ha varato un Piano integrato delle infrastrutture e della mobilità, firmato dall’ Assessore Luigi Bosco, il settimo assessore alle infrastrutture, insediatosi soltanto una settimana prima.
Piano che azzera quello che è stato realizzato in 80 anni ed abolisce i servizi delle autolinee intercomunali per distanze superiori ai 50 chilometri. Cioè i collegamenti essenziali per l’economia e il turismo. Ancora più grave è la giustificazione di una simile decisione: privilegiare i collegamenti ferroviari.
Ferrovie che come è noto a tutti, ma evidentemente non al Governo Crocetta, in Sicilia sono sviluppate essenzialmente lungo le coste e non all’interno.
Due le conseguenze immediate: i gravi disagi, anche economici, per i cittadini e la moltiplicazione del traffico di auto e mezzi privati.
Secondo il piano Crocetta-Bosco, dal 2019 dovrebbero essere azzerati tutti i collegamenti di autolinee fra Messina, Catania e Palermo, tranne quelli al di sotto di 50 chilometri che sono soltanto una parte di quelli provinciali. In particolare i collegamenti con le località turistiche, a cominciare da Taormina e Giardini Naxos.
Il tutto in previsione di un avvento di treni, di là da venire, di cui sono dubbi programmi, frequenze, tempi di realizzazione e soprattutto sono rimasti nell’ombra gli enormi costi di gestione a carico della Regione.
Una valanga di milioni, promessi o stanziati per il miglioramento delle infrastrutture ferroviarie in Sicilia, ha attirato l’attenzione di politici ed entusiasmato manager della Società per azioni Ferrovie dello Stato.
I milioni, non sono ancora arrivati, nè si sa se e quando saranno effettivamente disponibili per organizzare così grandi appalti e realizzare opere faraoniche che richiedono tempi non certamente brevi.
Le cifre macroscopiche hanno però già prodotto sui destinatari un effetto dirompente: hanno fatto perdere di vista, insieme con il senso della realtà, le esigenze dei cittadini.
Sfugge infatti ai responsabili quanto dati e studi dimostrano: gli investimenti su ferro, anche se ingenti, spostano una minima percentuale di traffico dalla strada alla ferrovia.
Tant’è che, in Italia, il 90% della mobilità continua a scorrere sulle strade, nonostante l’abbandono delle reti viarie, l’accanita cura del ferro e la realizzazione dell’alta velocità che ha distrutto l’Alitalia anziché moderare la motorizzazione privata.
L’enorme volume di denaro previsto per un unico beneficiario interessato è accompagnato dalla copertura di una demagogica campagna pubblicitaria che ostenta sostenibilità sociale, minore impatto ambientale e integrazione funzionale.
I dettagli degli stravolgimenti sono però prudentemente taciuti.
I fautori del Piano non hanno capito, o hanno finto di non capire, che i viaggiatori, anche i più bisognosi, non sono pacchi postali da potere spostare materialmente da un mezzo all’altro.
Né si possono costringere manu militari a lasciare il mezzo privato per utilizzare un trasporto pubblico non più efficiente come quello soppresso.
Dal momento che nessuno può persuadere qualcun altro che sia possibile sviluppare e migliorare l’offerta sopprimendo i servizi ai cittadini, sottoponendoli al disagio di trasbordi e tempi di viaggio più lunghi, resterebbero tre motivazioni, sapientemente millantate, a sostegno della riforma, e cioè:
1) risparmio di risorse pubbliche
2) minore impatto ambientale
3) allineamento agli standard europei della mobilità.
Ma é davvero così ? Vediamo:
1) Risparmio di risorse pubbliche? Non proprio, visto che per ogni chilometro percorso dal treno la Regione eroga risorse tredici volte maggiori di quelle erogate per un chilometro percorso da un pullman.Il treno mantiene le stesse frequenze e trasferisce tredici volte i viaggiatori di un pullman?
2) Minore impatto ambientale? Certamente no, dato che la situazione di congestionamento stradale, verrà drammaticamente aggravata da tutti quei cittadini che torneranno al mezzo privato per evitare quanto previsto nel programma: tempi di spostamento più lunghi e fratture di carico per coincidenze e trasbordi da un mezzo all’altro. Per di più, la velocizzazione dei treni comporterà la riduzione delle fermate lungo i percorsi, mentre la rettificazione della rete allontanerà ancora le stazioni dai centri abitati.
3) Allineamento agli standard europei della mobilità? Al contrario! In atto le autolinee extraurbane in Sicilia hanno i migliori indici di efficienza ed economicità d’Italia, e tra i primi d’Europa (in linea con i parametri di Svezia ed Inghilterra); ovvero frequentazione/gradimento dei servizi pari al doppio della media nazionale e un sostegno pubblico per chilometro pari alla metà di quanto erogato dalle altre Regioni.
La pseudo-riforma sarebbe, anche in questo, un suicidio: annullerebbe il primato seguendo l’ipotesi assurda di sostituire gli autobus con i treni con il dispendio di grandi risorse pubbliche dei contribuenti da sottrarre ancora all’assistenza ai disabili, alla sanità, alle scuole o ad altre esigenze prioritarie.
Una programmazione libera e corretta dovrebbe dare priorità alle scelte dei cittadini ed utilizzare gli strumenti più economici per soddisfarle.
Le aziende dovrebbero essere al servizio della collettività e non la collettività al servizio di un’azienda, solo perché é dello Stato e beneficiaria di tante cure finanziarie.
Sarebbe formativo per i politici affrontare il tema dei servizi pubblici di trasporto facendo l’enorme sforzo di immaginarsi destinatari della riforma.
Ma si è mai visto un politico lasciare l’auto blu e la corsia preferenziale per saltare da un mezzo pubblico ad un altro, o sostare sotto le intemperie per una coincidenza persa, o peggio, utilizzare mezzi di trasporto che sicuramente allungheranno i suoi tempi di spostamento?
Si ha la drammatica sensazione, insomma, di avere a che fare con una politica di falsi proclami, assolutamente priva di identità e di progetti che vive sulle sofferenze patite dai cittadini: che crea l’emergenza per fingere di risolverla.