Scenari di guerra in espansione con troppi fronti aperti e nessuna prospettiva, se non quella della devastazione dell’Ucraina e del massacro del suo popolo. Il bilancio dell’inizio della quarta settimana di invasione si fa sempre più problematico per Putin.
Per il Presidente russo, quello più insidioso si sta rivelando il fronte interno caratterizzato dalle crescenti contestazioni pubbliche di intellettuali, nomenclatura e apparati. Nonostante la legge liberticida imposta all’informazione, la chiusura dei social e le “purghe” in corso nei servizi di sicurezza e fra le gerarchie militari, le proteste si susseguono nelle piazze, incuranti delle migliaia di arresti di ogni domenica e della spietata repressione.
All’ennesima ondata di arresti, un migliaio nel corso delle manifestazioni di protesta svoltesi in 37 città russe, si aggiungono i titoli dei giornali strettamente controllati dal regime che spesso paradossalmente invece di sostenere il Cremlino rivelano circostanze imbarazzanti per la tenuta dell’economia ed il sentiment dei russi. Mentre il diffusissimo quotidiano dei sindacati, Trud, Lavoro, titola “Hanno ordinato ai prezzi di stare fermi, ma loro non hanno ascoltato” e poi nell’articolo rivela come i prezzi si moltiplichino davanti agli occhi dei cittadini, o un altro autorevole giornale moscovita titola sull’esaurimento delle pillole di iodio in vendita nelle farmacie, evidenziando il timore di una deriva nucleare, il quotidiano dell’opposizione ufficiale al regime di Putin, “Novaya Gazeta” esce con due pagine in bianco sulle quali a caratteri ninuscoli è scritto: “non ci sono parole”. Sul plumbeo cielo di Mosca la stampa di regime o quella dell’unica pallida opposizione tollerata è lo specchio dell’icerberg delle contraddizioni e del disagio dell’intellighenzia e della nomenclatura.
Tensioni acuite dal totale isolamento economico finanziario e dalla impressionante ondata mondiale di disprezzo e di odio nei confronti della Russia. Sottovoce e concisa la domanda che molti si pongono è: umeret’za Putina? Morire per Putin? Interrogativo che rimbalza soprattutto ai funerali dei soldati russi morti in Ucraina che si susseguono fra lo sgomento generale dalla Siberia a San Pietroburgo a Mosca.
Sul piano militare e strategico, il paradigma della guerra concentrica ibrida e asimmetrica scatenata da Putin prefigura essenzialmente un duplice epilogo: quello analogo alla ex Ddr, la Germania orientale praticamente rasa al suolo dall’Armata rossa nella seconda guerra mondiale e poi trasformata in uno stato fantoccio con un regime addirittura più sovietico di quello di Mosca.
Oppure la prospettiva afghana-vietnamita della guerriglia intermittente che costringe la Russia ad una lunga, dispendiosa e tragica occupazione in termini di perdite di vite umane e di risorse.
Scenari insostenibili per Mosca, se non altro perché il buco nero dell’Ucraina messa a ferro e a fuoco bloccherebbe le ulteriori mire egemoniche del regime di Putin nei confronti dei paesi Baltici, della Polonia, della Finlandia e di tutta l’Europa ex sovietica.
Per gli analisti di strategie militari e politiche, sull’esempio di analoghe circostanze storiche ricorrenti nei 70 anni dell’Urss e del blocco sovietico, si potrebbero ripetere, pur con tutte le variabili delle mutate condizioni, due svolte che capovolsero situazioni che sembravano inamovibili .
La prima è quella del defenestramento senza spargimento di sangue nell’autunno del 1964 del successore di Stalin, Nikita Chruščëv, al quale venne imputato lo smacco del braccio di ferro sui missili a Cuba con gli Stati Uniti e il fallimento economico del piano quinquennale.
L’altra svolta, difficilmente realizzabile a Mosca, riguarda la rivolta di piazza che il 22 dicembre 1989 a Bucarest sorprese e travolse il feroce regime comunista del dittatore Nicolae Ceausescu, che venne giustiziato assieme alla moglie. Precedenti che hanno un comune denominatore: l’insostenibilità della crisi e la responsabilità di chi l’ha provocata.
Nell’eventualità niente affatto sicura, anzi sempre più precaria, di una occupazione totale o in quella che viene ritenuta al momento più probabile di un’Ucraina trasformatasi in Stalingrado, Putin ha dinnanzi a sé soltanto scenari di anni di ostracismo globale, economia di guerra, stillicidio di soldati russi uccisi, crescente dissenso interno e di tentazioni di congiure da parte dei suoi pretoriani.
Scenari che sul fronte dei bombardamenti e delle stragi quotidiane con la partecipazione di un crescente numero di combattenti volontari europei fra le fila dell’esercito ucraino e di interi reparti siriani, medio orientali, ceceni e africani fra le truppe russe rischiano di trasformare ulteriormente la guerra concentrica in Ucraina in un conflitto internazionale.
Aspetto già operativo dietro le quinte delle battaglie sul campo perché contrappone le intelligence militari russe e occidentali in uno scontro segreto oltremodo violento e con un crescendo di anticipazioni di quanto e come la guerra sotterranea degli apparati di sicurezza e spionaggio internazionali sia l’anticamera del terzo conflitto mondiale.
Un conflitto illimitato con strategie e tattiche terroristiche quattro punto zero che fanno da supporto alla guerra sul campo con un mix di minacce cyber e batteriologiche dalle inedite caratteristiche operative: dai droni, alla pianificazione di scheduled attacks, colpi programmati e mimetizzati da incidenti alle infrastrutture essenziali delle reti idriche, energetiche e nucleari, ai trasporti, ai gangli sanitari e della distribuzione.
Fermarsi per Putin è ormai impossibile, potrebbero affrettarsi a concludere da qualche parte a Mosca. Anche perché “giustificare e condividere il male significa moltiplicarlo” spiegava Gustave Le Bon, il fondatore della psicologia delle masse.