Kabul andata e ritorno. L’inedita competenza dimostrata dai talebani nell’utilizzare il web in modalità cybersecurity e vari riscontri sulla presenza in Afghanistan dei terroristi dell’Isis hanno fatto scattare l’allarme a Washington, Londra e in Europa.
La situazione d’emergenza già oltre i limiti all’aeroporto e i timori che gli eventi si trasformino in una trappola infernale, avrebbero fatto pianificare varie alternative con l’intervento delle forze speciali.
Finora si tratta di ipotesi, nient’altro che ipotesi, ma che comunque prevederebbero target tutt’attorno all’aeroporto, nelle caserme alloggio dell’ex esercito regolare e al Palazzo presidenziale trasformato nel quartier generale dei talebani.
Sulle portaerei americane al largo dell’Oman e del Pakistan i Navy Seal Usa e probabilmente le Sas inglesi sono pronte all’eventuale blitz.
Assieme alla caccia ai terroristi, l’obiettivo di un ipotetico blitz sarebbe quello di isolare la capitale e neutralizzare le forze talebane fino al completamento del ponte aereo da Kabul per consentire il rimpatrio di tutti i cittadini occidentali e dei cooperanti afghani che hanno assistito i contingenti alleati e le strutture dell’Onu e delle Ong internazionali.
Il piano é rischioso e può provocare un bagno di sangue, ma più che un colpo di coda americano e occidentale sarebbe da considerare come l’ultima ratio per scongiurare una tragedia ancora maggiore, quella di un massacro di civili e militari asserragliati all’aeroporto.
Oltre alla copertura aerea, l’ipotetico blitz delle forze speciali Usa si avvarrebbe anche di sofisticati interventi di cyber war per fare saltare le comunicazioni fra i reparti talebani e bloccare la rete informatica che fa pervenire assistenza strategica agli ex studenti ormai fuori corso delle scuole coraniche.
“Entrando a Kabul i talebani si sono precipitati a requisire i dispositivi di identificazione dei dati biometrici HIIDE (Handheld Interagency Identity Detection Equipment) raccolti dall’intelligence Usa e c’è il fondato timore che oltre a rivelare vari dati top secret possano servire per identificare i cittadini afgani che hanno collaborato con le forze di coalizione” spiega Annita Sciacovelli, dell’Università di Bari, esperta di Cybersecurity.

Invasione dei talebani anche nel cyberspazio?
Purtroppo gli strumenti operativi nel cyberspazio non sono solo nelle mani delle super potenze, ma sono utilizzati anche da terroristi, narcotrafficanti e criminalità economica. Per elaborare i dati biometrici HIIDE che erano a disposizione dall’ex governo afgano, i talebani potrebbero aver bisogno del know-how eventualmente messo a disposizione dal Pakistan o da altri Paesi che sono interessati a collaborare con loro…E comunque i talebani hanno già dimostrato di sapere usare tattiche di social media policy sorprendentemente sofisticate.
E’ immaginabile un controllo dell’Afghanistan affidato a satelliti, droni militari, microspie e telecamere in grado di monitorare dettagliatamente la situazione?
Prima del ritiro, la strategia delle forze della coalizione era concentrata prevalentemente sulle aree critiche, come Kabul e altre città importanti, sui valichi di frontiera e sulle infrastrutture strategiche e vitali. Tranne quella dell’estensione a tutto il paese, non credo che ci sarà alcun cambiamento specifico nella capacità degli Stati Uniti e degli altri Stati di raccogliere informazioni attraverso il cyberspazio anche dopo il loro ritiro. Diverso è il problema della loro utilità, lo sapremo solo nel tempo.
Chi fornisce al regime talebano l’assistenza per sviluppare ulteriormente le capacità informatiche?
Intanto il Pakistan, come scrive Anatol Lieven online sul Time del 18 agosto. Ma non si può escludere una collaborazione anche tra talebani la Cina e l’Iran. E’ certo che i talebani svilupperanno la strategia tecnologica e informatica per tenere sotto controllo e governare il paese. Del resto il conflitto in Afghanistan ha diverse origini, religiose, culturali, territoriali e politiche, ed è caratterizzato dalla presenza di protagonisti che cambiano di continuo.