War in the dark, la guerra invisibile e oscura. Conflitti combattuti con attacchi invisibili praticamente inevitabili compiuti con satelliti, droni, missili, laser e cyber blitz.
Non è cambiata la concezione della guerra di Sun Tzu, «per vincere è essenziale pianificare e usare più l’astuzia che la forza », e di von Clausewitz, «la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi»: è cambiata l’arte, il modo di combatterla.
Dalle battaglie si è passati alle cyber war combattute a colpi di algoritmi della morte. Loop cibernetici che si teme possano aver sconfinato anche nella bio chimica batteriologica, come inducono a pensare i dubbi e i sospetti sull’origine della pandemia di Covid 19 made in Cina.
L’invisible war è la risposta strategica degli Stati Uniti all’evoluzione tecnologica sempre più allarmante del terrorismo islamico e alla crescente aggressività di Cina e Russia dietro le ombre della guerra fredda cibernetica. Una strategia d’attacco e di difesa che traspare dalle convulsioni della tragedia ancora in pieno svolgimento dell’Afghanistan.
“Il rischio della guerra invisibile è che possa essere anche infinita, perché anche se colpiti i nemici si riproducono come l’Idra a sette teste” sostiene Arduino Paniccia, analista di strategie militari e geopolitiche, docente di Relazioni Internazionali e Presidente della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia.

Colpire solo dall’alto?
Non si può controllare il territorio solo dall’alto. Fu Il nostro generale Giulio Dohuet negli anni venti a teorizzare il “dominio dell’aria”. Ora già si intravedono gli eserciti di robot del futuro, i laser e le forze spaziali. E’ finita un’era. Quella cominciata dopo la caduta del muro e la guerra del Golfo. Essenziale partire dall’autoanalisi: abbiamo abbattuto i dittatori che sono stati sostituiti dai terroristi, non abbiamo esportato la democrazia, ma lasciato invece spazio alle autocrazie. Dalla Corea in poi, dal Vietnam alla Somalia, Irak, Libia, Siria e Afghanistan, non si è più vinta una guerra. Vanno fatte molte riflessioni sul nuovo ruolo delle forze armate e Nato dopo Covid e Kabul.
Ma come é possibile che i talebani siano stati gli unici a vincere tanto i sovietici quanto gli americani?
Hanno prevalso alla distanza e territorialmente, ma per batterli sul loro territorio è inevitabile uno stillicidio infinito di vittime e un insostenibile dissanguamento finanziario. In realtà é fallito il soft power, la creazione del consenso popolare. Che tuttavia ha lasciato tracce evidenti nei giovani e nelle ragazze dell’Afghanistan. Semi di libertà e di civiltà che prima o poi germoglieranno
Cosa cambia rispetto alle alleanze , alla Nato e all’Europa?
L’Afghanistan segna uno spartiacque che costringe l’ occidente a ripensare l’utilizzo delle forze armate le missioni umanitarie e di pace per fermare i terroristi a casa loro e pacificare le aree interne dell’Asia e dell’Africa. La Nato sarà costretta ad elaborare nuove strategie per fronteggiare da un lato il terrorismo islamico e dall’altro Russia e Cina che invece di dividersi si uniscono e usufruiscono dell’atteggiamento obliquo della Turchia e dell’incertezza europea. I tempi d’oro della fine dell’Unione sovietica sono ormai lontani e le paludi sono aumentate: Siria, Libano, Libia, Sahel e Balcani solo per parlare dell’area del Mediterraneo
Questo implica un’evoluzione del ruolo dell’Italia in nord africa?
Il G20 presieduto da Mario Draghi rappresenta già implicitamente una svolta per il nostro Paese in Libia. Molto dipende dai russi e da chi sarà il nuovo leader tedesco. E soprattutto dalla capacità di rigenerazione della Nato.
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Fondatore e Direttore di zerozeronews.it
Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Rai Palermo e Tg1