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Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Augusto Cavadi
In tutte le culture la montagna è un ponte tra la terra e il cielo. Per limitarci alle due matrici principali della nostra civiltà – Atene e Gerusalemme – gli dei vivono nell’Olimpo e Jahvé parla a Mosé sul Sinai.
Jung parlerebbe di un simbolo universale, di un archetipo radicato nella struttura antropologica. Non è un caso che le architetture hanno tentato di riprodurre la montagna ogni volta che hanno voluto suggerire lo slancio dell’umano verso il divino: le piramidi egiziane, le torri mesopotamiche, i campanili cristiani, i minareti islamici…
Diciamolo subito: come ogni altra, anche l’immagine della montagna è rischiosa. Si rischia di fermarsi all’apparenza dimenticando il significato più profondo.
Mia nonna materna, che era una maestra elementare apprezzata, mi spiegava che non poteva accettare la dottrina cattolica del purgatorio perché – secondo lei – la montagna, di cui parla Dante Alighieri nella seconda cantica della Divina Commedia, non era mai esistita. E Yuri Gagarin, al ritorno del suo viaggio intorno alla Terra, dichiarò soddisfatto di non aver incontrato lassù né angeli né madonne.
Che facciamo allora dei simboli?
Ognuno di noi, più o meno consapevolmente, ha preso le sue decisioni.
C’è chi ha gettato alle ortiche il mondo delle immagini, delle figure, delle allegorie, delle metafore.
C’è chi lo conserva con vigilanza critica, senza lasciarsene intrappolare.
Ad esempio, la montagna – che ci solleva dal basso e ci porta in alto – suggerisce che il divino è trascendente, oltre la caducità e l’impermanenza del mondo: ma il divino è solo trascendenza, alterità? Sant’Agostino, per evocare un ‘padre della Chiesa’ autorevole e abbastanza ortodosso, diceva che Dio era più in alto dei cieli ma anche più intimo a noi di noi stessi. Il divino è dunque anche immanenza: come sosteneva anche Gesù di Nazareth, “il regno di Dio è dentro di voi”, dove “due o tre si riuniscono” nel nome della solidarietà e dell’amicizia.
Anche nell’immaginario filosofico la montagna torna spesso. A me personalmente aiuta molto l’idea che, quando siamo soffocati dalle tensioni e dalle tragedie – personali e collettive – , dovremmo salire su un monte e guardare la nostra situazione come dall’alto e dall’esterno: allora molti drammi, restando drammi, si ridimensionano, si rimpiccioliscono. Diventano più gestibili.
A chi desidera qualche giorno di ascensione verso l’alto, senza smarrire il terreno sotto i piedi ma anzi per poter meglio ritornare sui propri passi, quest’estate si offrono due possibilità.
Una in Sicilia (dal 10 al 12 luglio) e un’altra nel Parco nazionale degli Abruzzi (dal 21 al 27 agosto): due momenti di riflessione ‘filosofica’ per non…filosofi (di professione), di confronto sereno con altre persone alla ricerca, di convivialità allegra e rilassante in luoghi risparmiati dal covid, dopo i duri mesi di isolamento cui siamo stati costretti dall’epidemia. Per i dettagli organizzativi consultare il link relativo a “Una montagna di filosofia” (https://www.augustocavadi.com/2020/05/vi-aspettiamo-in-sicilia-dal10-al-12.html ) sulle Madonie e il link relativo a “Vacanze filosofiche” a Roccaraso (http://vacanze. domandefilosofiche.it/ 2020/02/2020-roccaraso-aq/ ).