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Rubrica di critica recensioni anticipazioni 
Sono il silenzio, l’assenza e l’incertezza le maledizioni collaterali della pandemia che incombono sul mondo della musica.
Cancellazione della campagna abbonamenti della Scala e di altri enti lirici, concerti annullati, cartelloni fantasma, stagioni in surplace: la musica è finita? No la musica è immortale, ma musicisti, artisti e operatori del settore non lo sono.

Soprattutto organizzativamente, come evidenziano le cronache che sempre più spesso descrivono come a causa dell’impatto devastante del Covid-19 , boccheggi e sia al limite della tenuta tutto il vastissimo contesto economico e culturale della lirica e dei concerti di musica classica e leggera.

“La pandemia è solo la punta dell’Iceberg dei problemi che già erano abbastanza lampanti in precedenza e che sono determinati dalla quasi assente considerazione pubblica del settore della cultura, delle arti performative e dello spettacolo” afferma la contrabbassista internazionale Valentina Ciardelli, che oltre ad essere autrice e interprete di vari album musicali è assistente universitario al Trinity Laban Conservatoire of Music and Dance di Londra, dove ha vinto il praticantato nella BBC e nella Royal Philharmonic Orchestra. Dal 2018 è inoltre Junior Fellow soloist al Trinity Laban Conservatoire of Music and Dance di Londra .

Come si sta adeguando al marasma del Covid il mondo della musica?
Come artisti, è nella nostra natura il doversi, sapersi e volersi adattare al mondo che ci circonda, sempre con una pulsione creatrice forte. Il problema è che ci stiamo confrontando con una questione del tutto nuova e su alcuni aspetti poco chiara. Il chiudere o ridurre drasticamente il numero di spettatori in un teatro per motivi di sicurezza stona completamente con aerei treni e bus stipati che continuano a viaggiare. Ancora una volta noi, e solo noi musicisti siamo chiamati a risolvere un problema più grande di noi e che non dipende dalla nostra gestione.
Per far fronte a questi problemi mi sono attivata molto sul web, trovando nuovi format come le chiacchierate in live su una pagina facebook che ho aperto a maggio chiamata Valentina’s lounge nella quale affronto le problematiche riguardanti il settore artistico e sociale con un ospite diverso ogni volta. Sto anche registrando moltissimi video e audio, che verranno poi pubblicati online su varie piattaforme per creare nuovo pubblico, mantenere i fedelissimi e poter sperimentare format da tenere accanto alle performance dal vivo come contatto diretto. La tecnologia è un grande strumento e non va demonizzata, l’importante è utilizzarla in maniera sana, efficace e concreta e soprattutto educare gli ascoltatori alla differenza sostanziale tra l’ascolto dal vivo e in casa, il primo è irripetibile e quelle sfumature che lo rendono tale non potranno mai essere ricreate nel secondo.

Lirica, concerti, musica leggera: chi viene penalizzato maggiormente?
Il mondo della musica e dell’intrattenimento live in generale è penalizzato. Sicuramente tutto il settore sta subendo un tracollo a causa di una pandemia che accentua in maniera esponenziale tutte le disattenzioni politiche, le difficoltà e le marginalizzazioni presistenti.
Il motore dell’innovazione è la ricerca, il progresso si misura sulla capacità di rischiare e riuscire a trovare nuovi sbocchi. La pandemia ha ulteriormente anchilosato questo processo, ma anche se di innovazione si parla molto, non esiste una vera e propria corrente di pensiero forte basata su questo nell’ambito della musica. Perché?
Il mestiere dell’artista è sempre stato ostico, ma comunque sempre in una certa forma rispettato. L’arte è sempre stata una fonte di arricchimento culturale ed ispirazione spirituale. Il mecenatismo in passato ha rappresentato una soluzione e un ingranaggio fondamentale per il progresso artistico, discutibile da tanti punti di vista, ma efficace nel mantenere lo status dell’artista e dell’arte a un livello virtuoso. Oggi il mecenate, o gli stati, investono su settori di produttività immediata e considerano l’arte un fanalino di coda.
L’innovazione e la ricerca nel campo musicale esistono, sono vivi, ma purtroppo sono quasi sempre esclusivamente portati avanti da artisti che si prendono la totale responsabilità delle loro scelte anche in termini di rischi economici e di carriera. Ci sono realtà di collettivi e associazioni che investono e aiutano in questo, ma sono ancora delle realtà definite “underground” e viste sempre un po’ come di serie B dalla grande tradizione performativa classica. La vera ricerca e innovazione è un rischio e una scelta grande sulle spalle di una o poche persone.
Rischi ?
Il primo e più lampante è quello di non avere una sicurezza economica concreta; per intenderci, le bollette e gli affitti non si pagano da soli. Il musicista deve affrontare le difficoltà e le burocrazie della vita come chiunque altro essere umano e purtroppo la società, da sempre, non ha mai considerato l’esigenza di un supporto concreto per il settore dei creativi. Ovviamente questo primo grande scoglio economico, senza andare a cercare tutti gli altri aspetti di sacrificio e difficoltà, è già bastevole per fermare la maggior parte dei musicisti a inoltrarsi in un campo di ricerca artistica, perdendo potenziali talenti che scelgono carriere più sicure o settori artistici meno “rischiosi” . Quale è la perdita a livello sociale in tutto questo? La perdita di varietà, di progresso nelle forme di performance, nel repertorio, nei prodotti artistici moderni e nel diffondere messaggio e valori con un format e un approccio moderno, quello che ha reso grande tutta la tradizione musicale che conosciamo fin ora. Oggi se lavori in un campo performativo vieni considerato sostituibile e non indispensabile. Un esempio cristallino è la campagna che il governo inglese ha lanciato il 12 Ottobre 2020 che consiglia al performer, in questo caso una ballerina, di “reinventarsi, ripensare, riavviare” la sua carriera in altro ambito.
